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Femminicidio Quaranta, il caso del giurato over 65: processo d'appello rinviato

Bisognerà ancora attendere per sapere se a Messina verrà annullato in appello anche un secondo processo per omicidio che in primo grado si era concluso con la condanna all'ergastolo. Un processo su cui "pende" la vicenda del giurato che aveva compiuto 65 anni in corso di giudizio, fatto che per una legge del 1957 provoca l'annullamento della sentenza. È già successo a dicembre con il caso del cosiddetto "untore", e potrebbe accadere di nuovo.

Stamane infatti la corte d'appello ha rinviato al 23 maggio il processo per il femminicidio di Lorena Quaranta, che nel luglio scorso ha visto la condanna all’ergastolo del suo ex, l’infermiere 30enne calabrese Antonio De Pace. Il motivo è tecnico. Proprio domani la Cassazione affronterà un caso analogo che si è registrato nei mesi scorsi a Palermo, ma in quel caso la Procura generale ha presentato ricorso non accettando il verdetto di annullamento. I giudici di Messina vogliono quindi capire come si pronuncerà la Cassazione prima di decidere.

Anche nella giuria di primo grado che ha deciso il femminicidio della povera Lorena Quaranta così com’è successo per il caso dell’untore, un giurato che componeva la corte d’assise aveva superato in corso di processo la soglia massima dei 65 anni per far parte del collegio. E uno dei difensori dell'omicida reo confesso, l'infermiere calabrese Antonio De Pace, l’avvocato Salvatore Silvestro, ha sollevato il caso nell'atto d’appello. Il trentenne calabrese De Pace la notte del 31 marzo 2020, durante il primo lockdown generale, uccise la fidanzata agrigentina e laureanda in Medicina a Messina Lorena Quaranta. Aveva 27 anni, veniva da Favara. Il femminicidio si consumò nell’abitazione in cui la coppia conviveva da un anno a Furci Siculo, un piccolo comune della provincia ionica di Messina. A luglio l’infermiere di Vibo Valentia era stato condannato anche a risarcire i familiari di Lorena e il Centro donne antiviolenza, parti civili nel processo.

Il 20 dicembre scorso a Messina erano stati “cancellati” in appello per un vizio di forma i 22 anni di carcere decisi in primo grado per il 58enne Luigi De Domenico, accusato di omicidio volontario per la morte della sua compagna, a cui contagiò la sieropositività senza mai rivelarlo. La vittima era l’avvocata messinese 45enne che poi morì di Aids, proprio perché non si riuscì a curare sconoscendo la causa della sua malattia. Era stata accolta la prospettazione del difensore di De Domenico, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, che aveva trovato un clamoroso “tarlo” dopo la sentenza di primo grado: due giurati avevano superato i 65 anni d’età e e non avrebbero potuto più partecipare al processo. Una svista clamorosa nella procedura, tramutatasi in uno scoglio processuale insormontabile.

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