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Il calvario di un padre a Messina: "Non vedo mia figlia da due anni"

Appello di un manager nel settore del mercato immobiliare che lavora all’estero. Il suo legale: «Caso assurdo, il padre separato non convivente non ha diritto ad informazioni sulle condizioni di salute dei propri congiunti»

Il tribunale di Messina

«Non vedo mia figlia da due anni, aiutatemi». È un manager nel campo del settore immobiliare che parla. Lavora all’estero ma è spesso a Messina.
È disperato. Ci ha contattato insieme ad uno dei suoi legali, l’avvocato Antonio Centorrino, per “gridare” a tutti la sua condizione di padre separato: «è fortemente penalizzante per alcune storture legislative, che voglio far emergere per aiutare tutti coloro che sono nella mia condizione».

Ci racconti allora...
«Sono una persona che purtroppo ha vissuto il trauma della separazione - dice -, e da subito mi sono reso conto, anche se vivo all’estero, del plagio subito da mia figlia da parte della mia ex moglie, con la quale ha inizialmente coabitato. La ragazza è stata costretta ad assumere psicofarmaci che ne minavano gravemente la volontà, tanto da determinarsi a compiere atti suicidari, accertati dai sanitari chiamati ad intervenire. Mi sono accorto di questo perché qualche tempo dopo, la ragazza è venuta ad abitare con me ed è stata affidata a medici specialisti, i quali hanno escluso la necessità di farmaci, sospendendone la somministrazione. Così consentendogli di riprendere vitalità ed umore gioviale. Mia figlia è riuscita a diplomarsi, s’è iscritta all’università, ha intrapreso un’attività lavorativa presso società commerciali, guadagnandosi indipendenza e libertà».

E poi cosa è successo?
«Purtroppo, rientrando in Italia per riabbracciare la madre, è ricaduta nel vortice del plagio, attraverso la ripresa della somministrazione di farmaci, con l’isolamento da ogni rapporto interpersonale diverso. Non mi è rimasto altro che denunziare i fatti all’autorità giudiziaria e, per sei mesi, non sono riuscito ad avere alcuna notizia o contatto con la figlia. Sono tornato a denunziare i fatti, invocando persino l’applicazione del c.d. “Codice Rosso” sulla scorta del fatto che nessuno ha visto mia figlia uscire di casa né in estate, né a Natale, né a Pasqua, se non sparute volte e sempre in compagnia e sotto lo stretto controllo della madre. Ho chiesto ripetutamente all’autorità giudiziaria procedente informazioni di mia figlia, senza mai riceverne o poter interloquire con il pm, anche per essere personalmente utile alle indagini e per rendermi conto delle reali condizioni psico-fisiche di mia figlia, che, qualora regolari, mi avrebbero rassicurato, offrendo tutte le mie discrete risorse per cure, sostegno, studio e lavoro».

In concreto cosa è accaduto?
«Questo diniego ha appreso amaramente dal mio avvocato che è una stortura della legge, che prevede la possibilità di avere informazioni solo per la “persona offesa dal reato” - nel caso di specie mia figlia - e sembra che io abbia giudiziariamente assunto solo la qualifica di mero “denunziante”. Mi è stata negata, dunque, quella conoscenza ed interlocuzione con le figure istituzionali per salvaguardare i diritti e la salute di mia figlia, che anche giudiziariamente le vengono negati».

Attualmente che notizie ha di sua figlia?
«Con mia grande sorpresa ho scoperto adesso che la mia ex moglie continua a somministrare a mia figlia ulteriori psicofarmaci e che la sua condizione ed il totale isolamento sono stati confermati da comuni amici, parenti, vicini di casa e che lei, pur sentita da uno psicologo, manifesta patologie che stanno sempre più aggravandosi nello stato in cui versa. Nutro fortissime preoccupazioni e sono profondamente addolorato per le sorti di mia figlia».

Perché ci ha contattato?
«Credo che ci sia una utilità sociale, oltre che personale, a raccontare questa storia, perché si ponga rimedio ad una stortura legislativa e procedurale, afflittiva e crudele, verso la stessa vittima e tutte le persone che versano nella mia stessa situazione. Non mancando di evidenziare che, il denunziante gli abusi, qualora convivente con la vittima, ivi compreso il maggiordomo, così come recita la giurisprudenza, avrebbe diritto ad essere informato sullo stato del relativo procedimento e sui suoi esiti ma io, purtroppo, sono separato e giudiziariamente posto “fuori casa”, quindi, papà non sofferente».

Avvocato Antonio Centorrino, lei assiste il manager, dove sta la “falla” della normativa attuale?
«Guardi, sebbene la legislazione italiana, anche sotto la spinta di quella europea e delle convenzioni internazionali, specie negli ultimi anni sia notevolmente progredita riguardo alle vittime di violenza domestica e non, riguardo soprattutto ai soggetti deboli, peso a minori e donne, prevedendo per loro speciali tutele e garanzie, con speciali procedure ed anche opportunamente vigilando sul potenziale o già noto carnefice, la stessa normativa presenta aspetti penalizzanti e talvolta mortificanti, proprio per le stesse vittime e le persone loro più vicine, che sono costretti a subirne, di fatto e di riflesso, i deleteri effetti».

E quali sono?
«Non di rado tali situazioni investono e si rinvengono in procedimenti giudiziari, talvolta inefficaci per tempestività e procedure a porre in essere i dovuti rimedi a favore delle stesse vittime. Non appaiono di certo efficaci i recenti aumenti di pena per i reati in questione, l’allungamento dei termini prescrizionali o il previsto intervento del pm di turno, con le conseguenti attività quasi sempre delegate alla sensibilità e sperata specializzazione delle Forze dell’ordine, con i relativi provvedimenti emessi anche in assenza di alcun contatto tra la vittima ed il pm che dirige le indagini, altrettanto ignaro dello scenario della violenza, che intuitivamente li emana. Il caso in questione è emblematico. Un padre, separato, che pur consapevole dello stato di grande sofferenza in cui versa la figlia, oggi maggiorenne, non riesce più ad avere sue notizie».

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