Un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, corredato da una mole impressionante di atti. Che contesta la sentenza della Cassazione, il sigillo finale, del maxiprocesso “Gotha 6”, una delle tante puntate investigative sulla famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto e le sue varie diramazioni lungo la zona tirrenica della provincia messinese. È questa la clamorosa iniziativa che hanno intrapreso l’avvocato Giuseppe Lo Presti, che nel procedimento assiste Antonino Calderone “Caiella”, condannato all’ergastolo per diversi omicidi, e il collega Francesco Torre. E sono molto interessanti le considerazioni che i due legali hanno affidato ad una nota, per spiegare le ragioni che li hanno portati a depositare in questi giorni un ricorso davanti alla Cedu, per contestare una violazione del diritto di difesa.
«Il processo Gotha 6 - scrivono - è balzato agli onori della cronaca per aver contribuito ad assicurare alla giustizia i vertici dell’organizzazione mafiosa barcellonese. Non è, però, noto ai più che il procedimento Gotha 6 si è svolto in plateale violazione delle regole che governano il processo penale. Ed invero, dopo oltre due anni di udienze e centinaia di testimonianze trascritte in oltre 6.000 pagine di verbali, all’udienza del 31 maggio 2019 il presidente del collegio della Corte di Assise di Messina, veniva sostituito con altro presidente. In origine il codice di procedura penale prevedeva che solamente il giudice che aveva assistito al processo personalmente ed aveva quindi ascoltato e veduto direttamente i testimoni, poteva emettere sentenza. Pertanto, cambiare il giudice durante un processo, comportava la necessità di risentire tutti i testimoni. Successivamente, con l’introduzione dell’art. 190 bis c.p.p. e con l’orientamento assunto dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, il principio di buon diritto sopra ricordato è stato sacrificato proprio per consentire la celebrazione di maxiprocessi ed evitare così l’impegno di più collegi e più magistrati (il cui numero ci si ostina a non aumentare) che invece sarebbero stati necessari per celebrare più processi (anziché un solo maxi) snelli e veloci». Secondo i legali poi «... addirittura, poi, con il processo Ghota 6, si è violata anche l’attuale disciplina che consente, alla difesa, in caso di sostituzione del giudice, di chiedere un idoneo termine di sospensione del processo per verificare specifiche esigenze di risentire i testimoni allegando fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni. Come appare evidente anche al comune cittadino, di fronte ad una tale mole di testimonianze sarebbe stato impossibile, riuscire ad effettuare la verifica consentita dalla legge senza la concessione di un termine a difesa, sollecitato dall’avvocato Lo Presti nonché da altri difensori, per poter accuratamente studiare le carte ed, eventualmente, proporre integrazioni probatorie». Un termine a difesa, spiegano i legali, che fu negato, e quindi «... il nuovo giudice partecipava alla decisione di un processo senza avere personalmente udito e veduto tutti i testimoni d’accusa e la gran parte di quelli della difesa».
È su questo che si fonda il ricorso alla Corte Edu presentato dagli avvocati Lo Presti e Torre, nello specifico sul «mancato rispetto dell’art. 6, par. 1 e 3 lett. b) e d) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo». «Siamo certi - concludono -, che la Corte di Strasburgo, avulsa da logiche di mera “economia processuale” e sensibile alle questioni sollevate, e già attenzionate da illuminata giurisprudenza, colga la gravità delle violazioni commesse nella celebrazione del procedimento, determinando, per conseguenza, la revisione del processo».
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