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Caso Attilio Manca: "Provenzano in quel convento a Barcellona"

I retroscena tra le carte della Relazione finale della Commissione parlamentare antimafia sul caso di Attilio Manca. «Nel 2005 una fonte confidenziale segnalò ai carabinieri del Ros che nei periodi di maggiore pressione il boss latitante potesse nascondersi tra le mura di “Sant’Antonio da Padova”»

Provenzano

È molto più di una suggestione. Ed è tra le carte della relazione finale della Commissione parlamentare antimafia sul caso di Attilio Manca, l’urologo barcellonese “suicidato”. Ci sono tracce abbastanza concrete ma forse non sufficientemente coltivate a suo tempo da magistrati e investigatori sulla presenza in un determinato momento storico di Bernardo Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Nascosto in un convento. Con la complicità di un frate.
«Nel 2005 - c’è scritto nella relazione finale dell’Antimafia -, una fonte confidenziale segnalava a personale della Sezione Anticrimine dei Carabinieri di Messina la possibilità che, nei periodi di maggiore pressione degli organi giudiziari nella città di Palermo, il boss latitante Bernardo Provenzano potesse nascondersi nella città di Barcellona Pozzo di Gotto, presso il Convento di S. Antonio da Padova, dove avrebbe potuto contare sull’assistenza di un non meglio indicato frate». I carabinieri del Ros si piazzarono quasi subito nei pressi del convento, e qualcosa trovarono di concreto : «... Tra le frequentazioni accertate emergeva quella di un soggetto, titolare di omonima impresa individuale con sede a Bagheria (Pa), esercitante l’attività di autotrasporto merci per conto terzi. Grazie alle indagini condotte dalla Sezione Anticrimine dei Carabinieri di Palermo, si accertava che il predetto aveva frequentato il Consorzio artigiano sud tir (riconducibile a Morreale Onofrio, capomafia di Bagheria) in data 17 maggio 2002. Era inoltre emerso che, in data 02.06.2001, alle ore 05:46, il medesimo era stato controllato proprio in Barcellona Pozzo di Gotto a bordo di un’autovettura intestata a Gitto Mario, unitamente a Triolo Giuseppe, Guttuso Antonino e, in particolare, con Provenzano Salvatore, autotrasportatore e cugino di Provenzano Giorgio, a sua volta più volte controllato in Bagheria in compagnia del noto Scianna Gioacchino, fratello di Scianna Giacinto, ritenuti importanti elementi della famiglia mafiosa di Bagheria».
C’è di più: «... Deve evidenziarsi - scrive l’Antimafia -, che Triolo Giuseppe risulta essere stato coimputato, per il reato di associazione mafiosa, di Rosario Pio Cattafi e altri capimafia barcellonesi nel terzo grande processo alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, denominato Gotha 3 e che Onofrio Morreale è lo stesso soggetto sul quale riferì Stefano Lo Verso e che si occupò specificamente della latitanza di Bernardo Provenzano e delle esigenze sanitarie del capomafia corleonese».

C’è ancora di più: «... L’attività di indagine posta in essere nell’ambito dell’inchiesta “Grande Mandamento” inoltre, aveva evidenziato la frequentazione del Convento di S. Antonio da Padova di Barcellona P.G. da parte del frate Ferro Salvatore Massimo. Come evidenziato dalla relazione del R.o.s., Ferro Salvatore Massimo è “uno dei cinque fratelli Ferro, figli del capomafia agrigentino Antonio, deceduto, storicamente legato da vincoli fiduciari al latitante Bernardo Provenzano, e dunque nipote di Ferro Salvatore (fratello di Antonio), il quale, imputato di associazione mafiosa nel c.d. processo “Grande Oriente”, dopo essere stato condannato in primo grado, è stato assolto in appello e poi, in via definitiva, dalla Corte di Cassazione”».
Ecco, è tutto scritto bello chiaro in un atto parlamentare. Ma purtroppo a distanza di parecchi anni dal verificarsi dei fatti.

 

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