Un Natale tutt’altro che sereno quello appena andato in archivio per una famiglia messinese, dove le tensioni toccano l’apice il giorno di Santo Stefano. Lo scorso 26 dicembre, gli agenti delle Volanti intervengono nell’abitazione di un quarantottenne messinese, su segnalazione di uno dei cinque figli, che ha appena riferito «di un’aggressione subita da parte del padre». Il minore ha chiamato la polizia: parlando a voce bassa, ha detto di trovarsi sotto il letto della sua cameretta e di non volersi fare sentire: «Mio padre ci dà botte, ci vuole ammazzare di botte». Giunto sul posto il personale delle Volanti, l’uomo cerca di sminuire quanto accaduto, eppure la compagna si mostra chiaramente impaurita e con dei segnali vuole far capire che lui sta mentendo. Le forze dell’ordine notano che il bambino ha una escoriazione su una mano e dei lividi sulla nuca. La donna viene sentita. E racconta che da tempo viene maltrattata insieme ai figli dal compagno, picchiata, insultata, segregata tra le mura domestiche. Il passaggio decisivo matura il 28 dicembre, quando la vittima si decide a denunciare i soprusi e le angherie negli uffici della Questura di Messina. Fa presente di essere legata a quell’uomo da una quindicina d’anni e che i cinque figli sono stati il frutto della loro relazione. Aggiunge che il compagno ha sempre svolto lavori saltuari, tira a campare con il reddito di cittadinanza e non si è mai preoccupato delle necessità quotidiane della famiglia, anzi, spesso è solito offendere la donna e denigrarla. Un atteggiamento condito da sempre «più frequenti aggressioni fisiche ai danni dei figli dei quali non sopporta la vivacità», spiega in lacrime. Quindi, va ai dettagli: «Mi diceva che non ero buona a niente, che non ero capace di tenere la casa pulita per i bambini, che dovevo andare via». E ancora: «Alcune volte si sfogava contro loro con le parole, mentre altre volte picchiandoli». Sia a mani nude che «con un bastone di legno o con la cintura dei pantaloni». Tra le condotte più inquietanti, quella ai danni di una figlia di 6 anni, che aveva iniziato a manifestare disturbi del sonno, a svegliarsi di notte e urlare, procurandosi microlesioni. Per tutta risposta, il 48enne l’avrebbe malmenata per farla smettere. La donna sottolinea che si è anche rivolta a un centro antiviolenza qualche giorno prima dell’ultimo Natale, in quanto contattata telefonicamente dal compagno e minacciata di morte. Una volta, «sul lungomare, mi ha messo le mani sul collo come se mi volesse strozzare – evidenzia in sede di denuncia –, ma non ha fatto forza». Un’altra volta, per motivi di gelosia, «ha iniziato a rompere i giocattoli» dei bambini, «mi ha messo un dito in un occhio e ho perso tanto sangue». Terminata l’escussione a sommarie informazioni testimoniali, al fine di prevenire ulteriori contatti tra il 48enne e la persona offesa, quest’ultima viene collocata in una struttura protetta. Del caso viene informata la Procura, che chiede o ottiene l’arresto dell’uomo. La giudice per le indagini preliminari Monia De Francesco firma infatti un’ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere. Sette i capi d’imputazione contestati all’indagato, difeso dall’avvocato Salvatore Silvestro. I reati che pendono sul suo capo sono maltrattamenti in famiglia ai danni della compagna e dei figli, oggetto di violenze «anche con l’ausilio di una cinta e di un manico di scopa rotto a metà», pure «durante il sonno», di spintoni, insulti. Ai malcapitati sarebbe stato altresì evitato di uscire di casa «in sua assenza asportando la maniglia interna del portone». Inoltre, è accusato di sequestro di persona e lesioni personali con circostanze aggravanti. La gip motiva la misura emessa rilavando la sussistenza «di un quadro connotato da gravità indiziaria» e ritenendo la rappresentazione offerta dalla persona offesa «meritevole di elevatissimo credito, coerenza interna e logicità», peraltro accompagnata «da positivi riscontri negli esiti dell’attività investigativa». Ad arricchire il castello accusatorio sono le risultanze delle certificazioni mediche, nonché la documentazione fotografica allegata al verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dalla donna. Il caso in esame continua la giudice De Francesco – si connota per «uno stato di soggezione e vessazione in cui versa e persona offesa unitamente ai figli minori, a causa dei reiterati contegni aggressivi e autoritari assunti dall’odierno indagato». Azioni che non si sarebbero fermate nemmeno quando la vittima era incinta e che potrebbero essere reiterate.