Sono 77 pagine. Che spiegano gli ergastoli ai vertici del sodalizio mafioso barcellonese dichiarati definitivi nel marzo scorso. Adesso sono nero su bianco le motivazioni con cui la prima sezione penale della Cassazione ha esaminato la lunga catena di omicidi che Cosa nostra barcellonese decise in un vasto arco di tempo a cavallo tra gli anni 90 e 2000, tra assestamenti interni di peso e punizioni esemplari per chi sgarrava. Una catena di sangue che processualmente è finita negli atti dell’operazione “Gotha 6”, ovvero la 6° puntata di una delle inchieste della Procura di Messina che hanno letteralmente smantellato negli anni l’intera organizzazione mafiosa. La sentenza di primo grado si ebbe da parte della Corte d’assise il 23 novembre del 2019, quella d’appello il 19 maggio del 2021. Ci sono vari aspetti trattati dai giudici in tutte queste pagine. Sintetizzando possiamo dire che giudicano l’iter processuale corretto, soffermandosi anche sul cambio del collegio del primo grado, e valutano come importante e “convergente” il contributo dichiarativo fornito dai vari collaboratori di giustizia, sotto un duplice profilo: hanno fatto tutti parte “dall’interno” di Cosa nostra barcellonese, hanno partecipato con vari ruoli ai tanti omicidi. L’unico dubbio di una certa rilevanza che i giudici della Cassazione esprimono è per l’attribuzione a Salvatore “Sem” Di Salvo del profilo decisionale di due omicidi, quelli di Felice Iannello e Domenico Pelleriti. Vediamo qualche passaggio tra le 77 pagine. I giudici della Cassazione affermano che in primo grado «... i fatti sono stati ricostruiti, al di là degli elementi di prova generica relativi alle modalità di consumazione dei singoli omicidi, attraverso le dichiarazioni rese dai collaboranti, in molti casi co-autori dei delitti oggetto di contestazione. Le collaborazioni con la giustizia hanno avuto inizio nell’anno 2011 (Gullo), e sono proseguite nel 2012 (Campisi), nel 2014 (D’Amico Carmelo e D'Amico Francesco) e nel 2015 (Munafó). Il titolo cautelare risulta emesso nel 2016». E spiegano poi «... che nel giudizio di secondo grado si è svolta una limitata attività di rinnovazione istruttoria, in prevalenza con acquisizioni documentali. Tra queste, sono state acquisite le dichiarazioni del coimputato Giambò, che ha avviato un percorso collaborativo con la giustizia», poi però clamorosamente naufragato con la richiesta di revoca del programma di protezione da parte della Dda di Messina. Sempre in secondo grado è stato «... riformulato e ribadito il giudizio di attendibilità soggettiva dei numerosi dichiaranti, previa ricostruzione del contesto storico e dello stabile inserimento dei medesimi all’interno della associazione mafiosa “barcellonese” nel cui ambito sono radicati i numerosi episodi di omicidio». Per la posizione del pentito Aurelio Micale i giudici spiegano che il suo ricorso «... è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti. Quanto ai punti dedotti, in tema di trattamento sanzionatorio, la Corte di secondo grado ha motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, data l’avvenuta applicazione della circostanza attenuante della collaborazione, senza alcun vizio logico e in modo del tutto conforme al principi di diritto applicabili». C’è poi da considerare quanto i giudici scrivono su Di Salvo per i due omicidi addebitati, per i quali invece a marzo hanno disposto un nuovo processo, per capire meglio il contesto. Per l’omicidio Iannello, secondo la Cassazione «... il D’Amico, in sostanza, coinvolge il Di Salvo in un proprio progetto omicidiario che necessita di assenso, nell’anno 1993. Al di là della compresenza, in quel periodo, del capo Gullotti, è di certo possibile che ciò risponda al vero. Tuttavia non appare logico ritenere che detto elemento di conoscenza possa proiettarsi sul fatto oggetto del processo, avvenuto tre anni dopo (nel 1996). Ciò perché, per comune esperienza maturata nell’analisi dei fatti associativi di stampo mafioso, lì dove una organizzazione dedita al controllo del territorio come fatti oggetto del giudizio ampiamente dimostrano decida di eliminare un soggetto ostile o sgradito (lo Iannello spacciava droga contravvenendo alle regole imposte dal gruppo) la tempestività della esecuzione del delitto è aspetto essenziale, teso a rafforzare il prestigio criminale del gruppo. La eventuale “sospensione” di un mandato omicidiario - pur sempre possibile per fatti sopravvenuti - rappresenta, in simile quadro, un evento atipico, che necessita di specifica dimostrazione probatoria e che non può essere oggetto di mera presunzione, come ritenuto in sentenza». Sull’altro omicidio in discussione per Di Salvo, quello relativo a Pelleriti, la Cassazione scrive invece: «... il vizio di metodo, a parere del Collegio, riguarda la sottovalutazione delle difformità espressive relative alla fase propriamente esecutiva tra i due dichiaranti Gullo e Siracusa, nonché la progressione narrativa del Gullo circa le modalità di “visione” della scena da lui colta prima di allontanarsi dal vivaio del Siracusa. In particolare, mentre sulla posizione del Gullotti si è correttamente riscontrata convergenza circa l’identità del “mandante primario”, va rilevato che le divergenze circa lo “scenario esecutivo” tra i due dichiaranti non possono dirsi del tutto irrilevanti, e ciò avrebbe reso necessario un approfondimento in contraddittorio, mancato. La posizione del Di Salvo ne risulta, pertanto, allo stato pregiudicata e va rimessa ad una nuova valutazione in sede di rinvio, previo annullamento della decisione nei suoi confronti e su tale capo». Ma la “Gotha 6” che cosa è in concreto? Si tratta di una lunga catena di omicidi avvenuti a Barcellona e in vari centri della zona tirrenica tra il 1993 ed il 2013, anche tra Terme Vigliatore, Falcone, Oliveri, Santa Lucia del Mela, Brolo e Milazzo. E praticamente in questi atti c’è la storia delle organizzazioni mafiose della provincia tirrenica, le esecuzioni e le preparazioni tra auto da rubare e pistole da caricare, le riunioni per “deliberare”. Diciassette omicidi di mafia a Barcellona sparpagliati in questa terra per un ventennio. Boss, gregari e irregolari che sgarravano ammazzati per varie ragioni su decisione della “cupola”, e il compenso per i killer spietati e sanguinari che variava da 5 a 20 milioni di lire, oppure 5mila euro, a seconda del personaggio da eliminare.