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Messina, la moglie «mentiva»: 40enne assolto. Nessun maltrattamento né atti persecutori

In appello sentenza ribaltata

In primo grado la condanna era stata parecchio pesante e infamante, 3 anni e 8 mesi di reclusione per maltrattamenti e atti persecutori nei confronti della ex moglie, in presenza dei figli piccoli. In appello tutto è cambiato per un quarantenne appartenente alle forze militari, originario della zona ionica, che è stato assolto da entrambi i reati con formula piena, “perché il fatto non sussiste”. Anche l’accusa aveva chiesto la sua assoluzione piena. La sentenza è della sezione penale della corte d’appello presieduta dal giudice Bruno Sagone e composta dalle college Maria Teresa Arena e Daria Orlando. I giudici in pratica hanno ritenuto le denunce della ex moglie completamente inattendibili, e legate strumentalmente alla separazione “avvelenata” in corso tra i due ex coniugi («... la cornice rappresentata dei travagliati rapporti tra le parti»).
Il giudice che ha scritto le motivazioni della sentenza, Maria Teresa Arena, afferma tra l’altro sul piano generale che «non risulta raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, in ordine alla penale responsabilità dell’imputato per i reati a lui ascritti». In relazione all’accusa di maltrattamenti la giudice infatti scrive: «... la valutazione negativa in ordine all’attendibilità della persona offesa e del suo narrato esclude la possibilità di ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’effettiva verificazione delle condotte maltrattanti, oggetto di imputazione al capo 1 della rubrica, denunciate dalla donna ma rimaste prive di alcun riscontro».

Anche sulla seconda accusa, quella di stalking, i giudici sono giunti all’analoga tesi dell’insussistenza, dopo aver analizzato i vari episodi denunciati dalla donna: «... l’intento del ... non fosse quello di molestare l’ex moglie quanto quello di raccogliere elementi, quali foto della donna in compagnia di un altro uomo e informazioni in ordine alla sua gestione economica... o di sporgere a sua volta denuncia nei confronti della stessa».
La tesi della totale insussistenza dei fatti, adesso accolta in appello, è stata sostenuta sin dal primo grado dal difensore dell’uomo, l’avvocato Antonio Bongiorno («inattendibilità del narrato della persona offesa», «sospetta sincronia delle denunce rispetto al procedimento civile», «tendenza ad ingigantire i fatti»), che ha effettuato anche una serie di indagini difensive per dimostrare come le accuse originarie fossero «assolutamente infondate», nei confronti di un uomo - afferma il suo legale in una nota -, «che ha sempre indossato la divisa con onore».

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