Quasi otto ore di testimonianza in aula. E una conferma pressoché totale delle dichiarazioni che a maggio portarono ad una bufera giudiziaria clamorosa soprattutto nel Comune di Mojo Alcantara, con il sindaco e la sua vice arrestati per associazione mafiosa, sospettati di contiguità e affari con il clan etneo dei Cintorino.
È stata molto lunga l’udienza di ieri davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Messina, primo atto del processo per i “fatti” di Mojo Alcantara, che vede coinvolti sette imputati. Il piatto forte è stata la testimonianza del pentito etneo Carmelo Porto, che è andata avanti per parecchie ore, terminando soltanto in serata.
Le indagini della Dda e della Guardia di Finanza sulla scorta di presunte infiltrazioni mafiose avevano portato a maggio all’arresto del sindaco di Mojo Alcantara Bruno Pennisi, della sua vice Clelia Pennisi, dell’ex assessore ai Lavori pubblici di Malvagna Luca Giuseppe Orlando, di Carmelo Pennisi, Giuseppe Pennisi e dell’imprenditore Antonio D’Amico. Ai domiciliari era finito Santo Rosario Ferraro, un altro imprenditore.
Tutti e sette sono ora imputati con accuse diversificate nel processo che s’è aperto ieri a Messina, dopo la richiesta di rito immediato avanzata nei mesi scorsi dai sostituti della Dda Liliana Todaro e Antonella Fradà, i magistrati che hanno condotto l’inchiesta della Finanza. Nessuno di loro ha scelto riti alternativi, quindi si procederà per tutti con il rito ordinario. Nutrito il collegio di difesa, composto dagli avvocati Vittorio Basile, Giancarlo Padiglione, Salvatore Pagano, Nunzio Rosso, Francesco Strano Tagliareni, Franco Rosso, Antonino Pillera, Carlotta La Spina, Giovanni Spada e Giuseppe Testa.
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