“Ringrazio per la vostra presenza a livello umano, voglio solo dire che sono un carcerato innocente ma, sul resto, come anticipato e come consentitomi dalle norme vigenti, chiedo di poter non rispondere. Per favore non mettetemi in difficoltà”. E' Antonino Merlino che parla. Dalla sua cella. Forse nell'ultimo atto giudiziario possibile per ricercare la nuova verità sull'omicidio di Beppe Alfano, il cronista ucciso da Cosa nostra a Barcellona Pozzo di Gotto quasi trent’anni addietro, l’8 gennaio del 1993. E' lui il killer riconosciuto in via giudiziaria definitiva per l'esecuzione del giornalista, e sta ormai finendo di scontare una condanna a 21 anni e 6 mesi di reclusione. Merlino il 30 novembre del 2021 è stato sentito dai magistrati della Distrettuale antimafia di Messina per l'ennesima indagine sull'omicidio. E nel suo linguaggio nemmeno poi tanto criptico ha consegnato forse una “verità” che non può raccontare fino in fondo.
Era questo il passaggio fondamentale dell'ennesimo atto d'indagine per l'ennesima riapertura del caso, che allo stato si è conclusa come le precedenti. La Procura di Messina ha infatti depositato in questi giorni ancora una richiesta di archiviazione al gip, ed è la terza, rispetto al quadro delle nuove indagini sull'esecuzione che si sono sviluppate in questi anni richieste dal legale della famiglia Alfano, l'avvocato Fabio Repici. La verità processuale alternativa ai processi definiti è quindi ancora una volta sfuggita. L'atto, che è firmato dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e dal sostituto della Dda Antonio Carchietti, è uno degli ultimi siglati dall'ormai ex procuratore capo di Messina Maurizio de Lucia, prima di trasferirsi a Palermo. Merlino, che in silenzio sta scontando la sua condanna senza aver mai detto una parola, nel novembre scorso è stato ascoltato in località protetta, in presenza del suo storico legale di fiducia, l’avvocato Giuseppe Lo Presti, dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina. È questo è stato praticamente “l’atto secondo” della nuova fase dell’indagine ter, visto che in precedenza era stato nuovamente iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio del giornalista come presunto esecutore, dopo una prima archiviazione, il barcellonese Stefano Genovese. Che oggi registra quindi una nuova richiesta d'archiviazione della sua posizione.
Il fatto nuovo che aveva portato a sentire Merlino era ben preciso: dopo le dichiarazioni del pentito Carmelo D’Amico, che aveva raccontato di aver visto proprio Genovese sul luogo dell’agguato quella notte di gennaio del 1993, erano arrivate sulla scrivania dei magistrati della Dda le dichiarazioni del pentito milazzese Biagio Grasso; il quale in un vecchio processo satellite dell’omicidio Alfano per false dichiarazioni di due testi durante il procedimento di primo grado per l’uccisione del giornalista, rispondendo alle domande del legale di parte civile della famiglia del cronista, l’avvocato Fabio Repici, aveva fatto alcune dichiarazioni clamorose. In sintesi Grasso, aveva dichiarato che raccolse le confidenze proprio di Antonino Merlino, con cui era molto amico, fissando tra l’altro due punti precisi: Merlino gli confessò di non aver ucciso Alfano e di conoscere anche il “vero” killer, pronunciando poi il nome di Stefano Genovese. Ma la svolta che si attendeva non è arrivata: Merlino infatti “ha confermato, in premessa, di conoscere Biagio Grasso - scrivono i magistrati della Dda nella richiesta di archiviazione -, da lui reputato persona seria (“… Si, lo conosco per ragioni di lavoro. Ho lavorato con lui in Toscana al confine con l’Emilia Romagna e, inoltre, in Bologna, nel settore della fibra ottica. Facevo anche dei trasporti con i mezzi dei miei fratelli di materiali per la sua ditta. Per quanto ne so, è un bravo ragazzo, è stato lui a cercarmi per lavorare e sono stato anche invitato al suo matrimonio …”)”.
Le parole con Biagio Grasso
Ma quando i magistrati gli hanno chiesto in maniera esplicita “Ha mai parlato con Grasso Biagio dell’omicidio del giornalista Alfano, avvenuto a Barcellona Pozzo di Gotto? Se sì, cosa vi siete detti?”, Merlino si è avvalso della facoltà di non rispondere. “Subito dopo, il propalante - scrivono i magistrati -, ha inteso rilasciare spontanee dichiarazioni per come segue: “ringrazio per la vostra presenza a livello umano, voglio solo dire che sono un carcerato innocente ma, sul resto, come anticipato e come consentitomi dalle norme vigenti, chiedo di poter non rispondere. Per favore, non mettetemi in difficoltà”. Ci sono altri punti approfonditi in questo forse ultimo supplemento d'indagine sull'omicidio Alfano dai magistrati della Dda di Messina, ma che non hanno portato a nessuno sbocco rispetto alle richieste di approfondimento formulate a suo tempo dall'avvocato Repici: “Si tratta, infatti, - scrivono i magistrati messinesi -, di prospettazioni coerenti con l’assunto ricostruttivo desumibile dal tenore della memoria citata – incentrato sulla rilevanza investigativa della figura di Cattafi Rosario Pio, sulla correlazione tra l’omicidio dell’Alfano e l’interesse giornalistico coltivato dalla vittima nei confronti della presenza a Barcellona P.G. del latitante “Nitto” Santapaola, e sui “canoni di opacità molto più che sorprendenti” connotanti l’operato delle forze dell’ordine e del Sisde) – ma radicate, appunto, in un incedere interpretativo che - per quanto possa ritenersi qualificato da intrinseca coerenza e persino “laicamente” suggestivo - appare destinato ad impattare, senza rimedio alcuno, contro le evidenze “in negativo” (o, se si preferisce, i limiti) derivanti dal necessario e doveroso ossequio alla cultura della prova”.
L’ordine di uccidere Alfano secondo la giustizia italiana Merlino lo ebbe nel 1993 dal suo capomafia di riferimento, il reggente autorizzato di Cosa nostra barcellonese in quel periodo, il boss Giuseppe Gullotti, anche lui condannato in via definitiva a trent’anni di carcere per quella esecuzione in via Marconi, e per il quale è stata rigettata di recente a Reggio Calabria la richiesta di revisione del processo. Il perché di quell’ordine, nonostante una teoria di processi ormai da tempo conclusi, è rimasto quasi sempre abbastanza fumoso tra i faldoni impolverati e dimenticati di questa storia. L’ottava amara morte di un giornalista in Sicilia.
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