Dal nascondiglio in un anfratto del Villaggio Santo, al 41 bis, passando per la detenzione in regime di isolamento. Per Giovanni De Luca, chiamato “u picciriddu”, nipote del boss defunto Nino, considerato dai magistrati inquirenti messinesi capo indiscusso del rione di Maregrosso, attivissimo nel controllo della sicurezza nei locali notturni e nel traffico di sostanze stupefacenti, adesso si spalancano le porte di un carcere di massima sicurezza. Lo ha deciso la ministra della Giustizia Marta Cartabia, che ha firmato un decreto che impone il trasferimento del detenuto dall’istituto penitenziario di Ancona, dove si trova recluso, in un’altra prigione dello Stivale.
De Luca, condannato col rito abbreviato a 20 anni di reclusione in seguito all’operazione Provinciale, con cui la Squadra mobile, i carabinieri e la Guardia di finanza avevano smantellato tre sodalizi – il suo, quello legato al boss dello stesso rione di Provinciale Giovanni Lo Duca e un altro, a Fondo Pugliatti, capeggiato da Salvatore Sparacio –, è ritenuto infatti soggetto altamente pericoloso. Ragion per cui, la Guardasigilli ha accolto la richiesta avanzata dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina dell’applicazione di un sistema di detenzione con ulteriori privazioni della libertà personale. Dovrà permanere in isolamento rispetto agli altri detenuti, senza la possibilità di accedere agli spazi comuni della struttura carcerari. L’ora d’aria sarà limitata a due ore al giorno e sarà costantemente sorvegliato da un reparto speciale del corpo di polizia penitenziaria. Subirà una ulteriore stretta per quel che concerne i colloqui con i familiari.
L’inchiesta “Provinciale” Risale al 30 marzo scorso la sentenza con cui De Luca viene giudicato colpevole e condannato a 20 anni di reclusione (con uno sconto di un terzo della pena), due in più rispetto a quelli sollecitati dalla pubblica accusa. Un’indagine che toglie il velo da un settore altamente remunerativo, quello del narcotraffico, e che non conosce mai né la parola crisi né battute d’arresto. La droga arriva a fiumi anche a Fondo Fucile e Mangialupi, seguendo una rotta con partenza dal Reggino, e viene smerciata secondo un accordo tra gruppo criminali, che si danno mutuo soccorso, in base a un patto, documentato dagli accertamenti degli investigatori, in cui Giovanni De Luca ha voce in capitolo, eccome. Oltre allo spaccio di stupefacenti gestito “in società” con Giovanni Lo Duca, Giovanni De Luca – difeso dall’avvocato Salvatore Silvestro – estende il suo raggio d’azione proprio su Maregrosso e con un raggio d’influenza che abbraccia un altro settore: le estorsioni ai danni dei locali notturni quale business centrale, con l’imposizione del servizio di guardiania effettuato da scagnozzi di fiducia organici al clan, in grado altresì di assicurare protezione agli esercizi.
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