«Una grande coalizione per il diritto all’abitare che metta in relazione i sindacati inquilini, le associazioni, i movimenti e i partiti politici che hanno a cuore le sorti dei precari della casa che, a causa di questa tragica crisi pandemica, sono drammaticamente in aumento». A proporla è l’Unione inquilini di Messina che ha celebrato il suo terzo Congresso, in vista della XVI assise nazionale. La città dello Stretto si trova come se fosse “sospesa” tra una perdurante emergenza abitativa e un momento storico in cui, mai come in passato, ci sono, e ci saranno, risorse da investire sulle politiche della Casa, e non solo sul fronte della legge speciale per lo sbaraccamento.
«L’asse su cui intendiamo muoverci – ha spiegato il riconfermato segretario provinciale Gianmarco Sposito – è quello del potenziamento dell’edilizia residenziale pubblica, però realizzata in maniera del tutto nuova rispetto ai classici interventi del passato: più case popolari realizzate attraverso il riuso e il recupero del patrimonio pubblico e privato abbandonato». Al centro del dibattito, oltre al tema della cedolare secca per il libero mercato delle locazioni (l’Unione inquilini ne chiede l’abolizione), anche il cosiddettto “social housing all’italiana”. Durissimo il giudizio: «Di social c'è rimasto ben poco, l’housing ha favorito nel tempo principalmente i soggetti attuatori piuttosto che gli inquilini». Ma i fari sono stati puntati sulle questioni generali: «L'assenza trentennale di politiche strategiche nazionali sul diritto all'abitare ha prodotto effetti negativi sui territori. Nella città di Messina, ad esempio, solo 25 alloggi sono stati inseriti nel bando comunale del 2018 per le assegnazioni delle case popolari a fronte di circa 700 domande. Questo inaccettabile squilibrio fotografa il fallimento dello Stato, in tutte le sue articolazioni, sulle politiche per la Casa».
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