Caravaggio, Antonello. Sarebbe troppo facile. Sì, ci sono loro a nobilitare le sale del MuMe. Ma nei dettagli di cento altre opere, in quei particolari che spesso sfuggono alla visita rapida, in quelle figure, in quei colori, in quelle sculture, in quegli intarsi, in quelle carrozze, in quelle tavolette in legno, c’è la storia di Messina. C’è la nostra identità. E sarà stato il Covid, quei lunghi mesi di buio e di clausura, ma il ritorno al Museo non è come prima. Bisogna entrare con l’atteggiamento di chi si trova per la prima volta davanti a un’alba o a un bellissimo tramonto, la meraviglia, lo stupore, l’innocenza pura dello sguardo. E andare alla ricerca del “non visto” o del “visto troppo in fretta”, così come quando si rivede un vecchio film di cui si pensa di conoscere la trama e che si apprezza ancor di più, scoprendo che le visioni precedenti non erano bastate, che c’è sempre qualcosa di nuovo e di inedito.
E questa pagina, in questa strana estate sospesa tra un incubo non ancora del tutto dissolto e la voglia di dire al mondo intero che ci siamo ancora e siamo vivi, vuol essere proprio un invito a noi stessi e a chi ci verrà a trovare, viaggiatori, amici e parenti che tornano dal Nord o da chissà dove: venite, venite al MuMe, venite qui, andiamoci insieme.
Sì, ci sono Caravaggio e Antonello. In buona compagnia. C’è Girolamo Alibrandi. E Vincenzo Catena, Annibale Carracci, Francesco Laurana. Ci sono i capolavori degli orafi messinesi, i rami fioriti in oro, smalti, perle e smeraldi.
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