Era un vero ingegno multiforme il professor Giulio Santoro, chirurgo ortopedico messinese di fama internazionale che ieri ci ha lasciati ad 89 anni d'età. Eppure se lo incontravi e ti fermavi a parlarci era d'una umiltà eccezionale, patrimonio soltanto dei grandi uomini. La medicina è stata il centro gravitazionale della sua esistenza tra il Policlinico prima e lo Iomi, l'Istituto ortopedico del Mezzogiorno poi, ma il mare ha rappresentato la sua autentica casa non secondaria per una vita intera. Senza dimenticare che la caccia al pescespada nello Stretto di Messina è stato un tema-chiave con cui s'è confrontato costantemente. Era tutto, ha fatto tutto, dicevano sempre di lui gli amici, e quasi non ci si crede.
Qualche esempio non strettamente sanitario: è stato il medico personale di Enzo Maiorca, ha fatto il trapezista nei circhi per diletto, è stato sommergibilista e paracadutista, aveva rapporti personali con il grande astronauta Jury Gagarin e da sempre ha avuto un filo diretto con la Russia, è andato in Cambogia a curare i bambini feriti dalle mine anti-uomo (il suo rapporto con le scuole e gli studenti, non solo in città, è stato sempre intensissimo), il 19 agosto 1960 fu tra i tedofori messinesi per il “passaggio” della fiaccola olimpica proveniente da Atene e diretta a Roma, andava pazzo per la musica sudamericana e il tango era la sua passione, suonava la chitarra, con lui potevi parlare per ore di Miguel de Cervantes o di Marco Polo calato nei rapporti storici tra Oriente e Occidente. Fino a ieri mattina stava studiando su un testo di ortopedia, e fino a qualche mese fa indossava ancora il camice e si presentava allo Iomi per “imparare”.
Un intelletto ancora perfettamente vivo.
Una cosa però lo faceva immancabilmente commuovere ogni volta che la rievocava, ovvero il suo ruolo di “vedetta messinese” durante la Seconda guerra mondiale, aveva appena 11 anni, quando dalle colline di Castanea gli fu assegnato il compito ufficiale di scrutare il cielo per avvistare per tempo i bombardieri e poi avvertire il maresciallo dei carabinieri, che dava l'allarme. Lì, tra le campagne, compilò giorno dopo giorno un diario minuziosissimo con tanto di prodigiosi disegni, dettagliatissismi, degli aerei.
Ieri sera, scorrendo l'archivio del giornale, erano veramente a centinaia i riferimenti con il suo nome. E se erano quasi scontati quelli dei prestigiosi traguardi nel campo dell'ortopedia, anche con interventi innovativi e precursori di pratiche chirurgiche e curative poi divenute comuni, o quelli ai convegni medici internazionali, c'era molto altro ancora della sua multiforme attività non strettamente sanitaria.
Il suo caro amico, l'assessore Enzo Caruso, ha scritto ieri un pensiero toccante per salutare «il Professore protagonista di mille avventure, medico senza frontiere, viaggiatore instancabile, testimone di una Messina che non c'è più e compagno di viaggio in tante mie iniziative culturali. Tanti lo hanno conosciuto nella sua attività professionale di ortopedico, e tanti altri per la sua produzione letteraria, scientifica e culturale».
Caricamento commenti
Commenta la notizia