E poi spargemmo della calce sul cadavere. Nei racconti agghiaccianti dei pentiti barcellonesi di questi anni sono state ricostruite tante esecuzioni impressionanti, feroci e dilanianti, brani stonati e sconcertanti di una crudeltà infinita. Come tutte le esecuzioni di mafia del resto, di carne squarciata e mani mozzate, pesi e contrappesi tra barcellonesi e mazzarroti, tortoriciani e chiofaliani. Morti raccontate in decine di verbali con inusitata freddezza, che si concludono tutte più o meno allo stesso modo. Con i killer che finito il “lavoro” si lavano le mani insanguinate, buttano via i vestiti, bruciano l'auto in un torrente, e poi tornano a casa e si siedono a tavola per cenare con la moglie e i figli. Come se niente fosse. Nel novero dei pentiti barcellonesi da qualche mese era spuntato anche il 49enne killer del gruppo storico Carmelo Giambò “u mastruffu”, già ergastolano per una esecuzione e per altre quattro soltanto detenuto in attesa di giudizio. Ma le sue dichiarazioni, comprese alcune clamorose ritrattazioni dopo i primi verbali, non hanno convinto affatto i magistrati della Dda di Messina, che a più riprese lo hanno sentito in queste ultime settimane, ed hanno anche organizzato confronti incrociati con due collaboratori di giustizia che già sono passati al vaglio della credibilità e delle sentenze definitive nei vari procedimenti “Gotha” , ovvero Nunziato Siracusa e Santo Gullo. E ognuno, dopo i confronti, duri, drammatici, tesi, è rimasto sulle proprie posizioni. La conseguenza è stata la richiesta di revoca del piano provvisorio di protezione, con la chiara dicitura di «mendacio» affibbiata a Giambò dai magistrati della Procura antimafia.
Gli omicidi
E adesso, su questa storia di una clamorosa collaborazione mancata, c'è tutto scritto nero su bianco sulla richiesta di revoca della protezione provvisoria, che è firmata dal procuratore capo di Messina Maurizio de Lucia, dall'aggiunto Vito Di Giorgio, e dai sostituti della Dda Fabrizio Monaco e Francesco Massara. Sono loro che in queste settimane hanno ascoltato le “verità” di Giambò ed hanno proceduto ai confronti incrociati con gli altri collaboranti. Nella richiesta di revoca è tutto chiaro per i magistrati.
Ecco i dettagli
Mario Milici. Nel corso del primo e del secondo dei verbali di interrogatorio - scrivono i magistrati - , il dichiarante ha affermato di avere preso parte solo alla fase preparatoria dell'omicidio in questione, e non anche alla esecuzione materiale dell'agguato, smentendo, sul punto, il narrato del collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico, che aveva in precedenza chiamato Giambò in correità, indicandolo come coautore dell'omicidio, unitamente ad esso D'Amico. In occasione del verbale del 18 marzo 2021, Giambò ha ammesso di avere mentito nel corso delle precedenti dichiarazioni rese su questo fatto, ed ha confessato di avere effettivamente preso parte, non solo alla fase preparatoria, ma anche a quella esecutiva del delitto. Domenico Pelleriti. Giambò in occasione degli interrogatori del 4 dicembre 2020 e del 18 febbraio 2021 - scrivono i magistrati -, ha ammesso di avervi preso parte, negando di avere constatato la presenza, nelle fasi relative all'omicidio in questione, di Gullotti Giuseppe e Salvatore Di Salvo, circostanza che è stata, invece, affermata dai collaboratori di giustizia Gullo Santo e Siracusa Nunziato. Sul punto, questo ufficio, al fine di una migliore valutazione dell'attendibilità del dichiarante e di una completa ricostruzione delle vicende, ha proceduto ad un confronto tra Giambò Carmelo e Gullo Santo in data 7 aprile 2021, e tra Giambò Carmelo e Siracusa Nunziato, in data 8 aprile 2021. All'esito del confronto, ciascuno dei collaboratori è rimasto sulle proprie posizioni. Carmelo Mazza. Giambò nell'interrogatorio del 18 febbraio 2021 ha ammesso la sua partecipazione all'omicidio, in linea con il quadro probatorio ricostruito dalla sentenza, emessa dalla Corte di assise di Messina, anche in ordine al ruolo rivestito da Chiofalo Domenico (e Micale Aurelio), riferendo di non avere informazioni in ordine al coinvolgimento, nell'omicidio in questione, di Rao Giovanni. Carmelo De Pasquale. Carmelo Giambò nell'interrogatorio del 4 febbraio 2021 - scrivono i magistrati -, ha ammesso la sua partecipazione all'omicidio, in linea con il quadro probatorio ricostruito dalla sentenza emessa dalla Corte d'assise di Messina, anche in ordine ai ruoli ricoperti dai coimputati Calderone Antonino (cl. '75), e Chiofalo Domenico (e Micale Aurelio).
L'estorsione al Carreforur
C'è un'altra vicenda in cui Giambò non ha raccontato la verità, secondo i magistrati. Anche questa è messa nero su bianco nella relazione finale. Giambò - si legge nella relazione - , ha ammesso di avere mentito anche in relazione ad una vicenda estorsiva, per la quale è stato riconosciuto colpevole, nell'ambito del giudizio Gotha 7. Ed invero - scrivono i magistrati - , nel corso delle dichiarazioni rese in data 2 marzo 2021, egli ha negato di avere commesso questa estorsione; nel successivo verbale di interrogatorio del 18 marzo 2021 ha mutato versione, ammettendo di avere commesso il fatto. Peraltro, in data antecedente all'inizio delle sue dichiarazioni, Giambò è stato destinatario di una missiva inviatagli da Di Salvo Salvatore, detenuto in regime di “41 bis”, e che veniva sottoposta a trattenimento, nel gennaio del 2020. Dell'avvenuto trattenimento di detta missiva, Giambò Carmelo affermava di essere venuto a conoscenza.
Le precisazioni
Messo alle strette dai magistrati della Dda Giambò ha poi corretto il tiro su alcune vicende, fornendo delle precisazioni. Eccole. Sull'omicidio Milici ha poi dichiarato: «... confermo di aver partecipato alla preparazione dell'omicidio di Milici Mario, ma le cose sono andate diversamente da quanto dichiarato in precedenza. In effetti, sono stato incaricato dell'omicidio da Filippo Barresi. Ricordo che avevo occultato un fucile ed un pistola nel torrente nei pressi della mia abitazione. Il giorno dell'agguato, prelevai Carmelo D'Amico con uno scooter con cui mi muovevo; avevamo con noi due pistole e un fucile; giunti sul posto, ci nascondemmo dietro un muretto nei pressi del torrente di cui ho detto, attendendo il passaggio del Milici Mario. Quando lo vedemmo passare, D'Amico sparò con il fucile; Milici cadde a terra. Eravamo convinti che fosse già morto, ma poco dopo Milici si alzò e cominciò a scappare. Sia io che Carmelo D'Amico lo inseguimmo; Milici scavalcò un muretto, stessa cosa che facemmo anche noi. Quindi, lo raggiungemmo e lo bloccammo a terra; in quel frangente, io riuscii a sparare un colpo di pistola, ma non so indicare dove l'ho colpito. Ricordo anche che Carmelo D'Amico colpì ripetutamente il Milici con il fucile, utilizzato come oggetto contundente. Preciso che io sparai con entrambe le pistole che avevo addosso; inizialmente con la semiautomatica, che poi mi cadde a terra durante l'inseguimento, e poi con il revolver». E sull'estorsione al Carrefour ha poi precisato: « Ricordo che Carmelo D'Amico sapeva già che i lavori di costruzione del Carrefour dovevano essere avviati e mi incaricò di “sistemarla”. Ricordo che ne parlai con Giordano al centro commerciale, ma il materiale pagamento delle somme estorsive mi veniva fatto dal direttore commerciale del centro commerciale. Ho cominciato a ricevere somme a titolo estorsivo a partire dall'inaugurazione del centro commerciale e fino alla Pasqua del 2010. L'importo era di euro 2500-3000, tre volte per anno, in occasione di natale, pasqua e ferragosto».
«Spargemmo della calce sul cadavere...»
Ci sono particolari agghiaccianti che Giambò ha ripercorso sull'omicidio del povero giovane di Basicò Domenico Pelleriti, avvenuta nel lontano 1993 a Terme Vigliatore. Non apparteneva alla criminalità organizzata, era forse coinvolto in un “giro” di ladri d'auto. I Barcellonesi lo sospettavano di avere rubato una fornitura di mattonelle in un negozio che pagava “il pizzo”. Giambò ha raccontato le fasi dell'esecuzione: «... entrai nel casolare, e vidi, all'interno, Tramontana, Siracusa e Pelleriti che si trovava seduto su una sedia, legato e ancora vivo. Il Pelleriti era gonfio in viso; si vedevano i segni delle percosse che aveva subito. In quelle fasi ricordo che fu tolto al Pelleriti il portafoglio al cui interno vi erano circa due milioni di lire, oltre alcuni oggetti in oro che aveva indosso e forse anche un blocchetto di assegni. A quel punto, gli mettemmo un sacco di plastica in testa e su indicazione del Tramontana, io e Siracusa lo caricammo su di una carriola e lo trasportammo verso la buca che avevamo precedentemente scavato, e lo scaricammo all'interno di essa. Qui, il Tramontana esplose un colpo di pistola all'indirizzo di Pelleriti, colpendolo in testa. L'arma era una pistola giocattolo modificata per sparare colpi calibro 7.65, che era stata prelevata dal casolare di Siracusa. Ricordo che l'arma si inceppò dopo lo sparo, quindi, Siracusa la prese dal Tramontana, la scarrellò, scese nella fossa, che era profonda circa un metro, e sparò un altro colpo di pistola alla testa di Pelleriti. Spargemmo della calce sul cadavere, e, dopo averlo interrato, io, Tramontana Mimmo e Siracusa Nunziato ci dirigemmo, a bordo della Fiat Uno, in località Marchesana, presso il bar “Gabbiano”; arrivati nei pressi del bar, notai che erano presenti, nelle vicinanze, Sam Di Salvo e Gullotti Giuseppe. Io e Nunzio Siracusa attraversammo la strada, ed entrammo nel bar, menta Tramontana si appartò in una stradina a parlare con Gullotti e Di Salvo... io mi allontanai con la mia autovettura che avevo lasciato lì, recandomi credo, in ospedale, dove mia moglie si trovava in travaglio». E Giambò, così, dopo l'omicidio, assistette alla nascita di suo figlio. Come se niente fosse.
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