C’erano dentro tutti nel mondo mafioso delle truffe agricole e sul bestiame all’Unione Europea, per drenare fiumi di denaro pulito nelle tasche del clan tortoriciani. Zii, genitori, nipoti, cugini e cognati, molto spesso come semplici prestanome dei mafiosi di rango. È stata un’altra lunga giornata ieri all’aula bunker di Gazzi per il maxiprocesso Nebrodi, che ha visto le deposizioni degli altri pentiti-chiave dell’operazione antimafia del gennaio 2020, ovvero Carmelo Barbagiovanni “muzzuni” e Salvatore Costanzo Zammataro “patatara”. Questo dopo che il 23 marzo scorso l’intera udienza era stata dedicata al racconto di Giuseppe Marino Gammazza.
E soprattutto Barbagiovanni, elemento di spicco del clan dei Batanesi, ha confermato quanto dichiarato nei verbali ricostruendo nei dettagli il sistema delle truffe all’Unione Europea che per anni, anzi per decenni, ha consentito alla mafia nebroidea e siciliana di incamerare milioni di euro senza alcuna fatica, direttamente sui conti bancari. Senza muovere in dito.
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