Un anno dopo, il Covid ha lasciato solo lievissime sensazioni che ogni tanto il fisico avverte. Le cicatrici più profonde e difficili da rimarginare sono però nell’animo di chi, suo malgrado tra i pionieri del contagio, è stato preda oltreché della malattia, dell’assoluta confusione di un sistema sanitario impreparato e inadeguato alla pandemia ma anche, purtroppo, di un clima sociale di estrema diffidenza. Nino Scorza, 52 anni santagatese, oggi vigile del fuoco effettivo a Milano, il 6 marzo 2020 fu il primo positivo accertato in provincia di Messina. Un triste primato che ha segnato profondamente la sua vita e quella della sua famiglia, finita nel tritacarne in un momento in cui la comunità locale non aveva ancora fatto veramente i conti con la drammatica realtà. «Inventarono davvero di tutto, furono prese vecchie foto dai social e diffuse sulle chat, facendo credere che fossimo stati a una festa di compleanno di un parente, ma in realtà la foto si riferiva ad anni precedenti», ricorda Nino Scorza insieme alla moglie. «Le mie figlie ricevettero persino minacce – prosegue –, i carabinieri per giorni passavano sotto casa». Nino Scorza ripete di sentirsi «sopravvissuto» considerato che dei cinque vigili del fuoco contagiati nelle Scuole centrali antincendi delle Capannelle di Roma, tre allievi e due istruttori, solo i primi tre ce l’hanno fatta. «Non c’erano ancora limitazioni se non per qualche provincia del Nord – ricorda – e ottenni la licenza per tornare a casa, non essendo ancora emersi casi nella scuola. Sono tornato in aereo nella tarda sera di venerdì 28 febbraio, i primi sintomi li ho avvertiti dopo il pranzo di sabato 29, con brividi e febbre, e mi fu detto di recarmi all’ospedale per un tampone. Sono rimasto in isolamento al Pronto soccorso per 5 ore, sono state eseguite le procedure previste ma non il tampone, quindi mi rimandarono a casa con la prescrizione solo per me di rimanere in isolamento, nel frattempo sarebbe partita la richiesta all’Asp per il test a domicilio». Era l’inizio dell’odissea per Nino, chiuso in una stanza di casa con sintomi sempre più aggressivi. «Il momento peggiore è stato nella notte tra il 5 e 6 marzo – prosegue –, quando le mie condizioni erano diventate davvero critiche. Non riuscivo quasi più a respirare e mia moglie ha dovuto soccorrermi con due Bentelan». Solo allora, dopo innumerevoli solleciti e assoluta confusione sulle procedure da seguire, grazie all’interessamento del sindaco, del comandante provinciale dei vigili del fuoco e della Prefettura, venerdì 6 marzo il 118 eseguì il tampone. Poche ore dopo ci fu il trasferimento al reparto Malattie infettive di Barcellona. «Ho avuto la fortuna di incontrare la dottoressa Panella, un vero e proprio angelo custode», racconta Nino. «Nei giorni immediatamente successivi al ricovero non riuscivo a parlare e avevo fame d’aria. Ero solo con la mascherina di ossigeno, dietro una vetrata al telefono mi dicevano cosa fare. Avevo la fobia dell’acqua, repulsione a bere quel liquido con un sapore orrendo. Il momento peggiore – prosegue – quando ho chiesto notizie sulle mie condizioni e mi è stato risposto seccamente che avrei avuto il 50% di possibilità tra guarire o morire. Nel frattempo, ho saputo della morte dei due istruttori ed ho pensato davvero che toccasse anche a me». La situazione migliorò progressivamente, fino alle dimissioni dall’ospedale il 16 marzo. Nel frattempo, a casa la moglie, unica altra positiva della famiglia al tampone del 7 marzo, era già in isolamento, e vi sarebbe rimasta fino a maggio. Mesi duri per i coniugi e le due figlie, anche dal punto di vista psicologico, sul lavoro e in tutti quei momenti che fino a poco tempo prima appartenevano alla normalità. «Il dramma del Covid è anche quello di sentirsi da soli in tutto. Possiamo solo ringraziare Dio per averlo superato e tutti coloro che ci sono stati davvero vicino. Tra questi il sindaco Mancuso, il maggiore dei carabinieri Prosperi e il luogotenente Battaglia, il comandante dei vigili del fuoco Biffarella, per quel che hanno fatto. Nessuno può permettersi di sottovalutare il Covid. Ciò che ho vissuto non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico».