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L'avanzata del Covid e quel dovere di responsabilità che serve a Messina

Non fanno ben sperare i numeri che emergono da un lato dalle adesioni allo screening nelle baraccopoli e alla popolazione scolastica

Il punto è sempre lo stesso, lo avevamo affrontato nei giorni scorsi: capire qual è il nostro ruolo in questa lunga, estenuante, talvolta frustrante battaglia contro il Covid. Su alcuni fronti il ruolo di noi cittadini è evidentemente passivo. Vaccini e cure specifiche sono le armi definitive affidate alla scienza; le misure normative, le restrizioni da decreto o da ordinanza, sono quelle di cui può disporre chi ha ruoli istituzionali (e sulla cui condivisione si può discutere all’infinito). Poi ci sono i fronti della battaglia in cui il nostro ruolo è attivo. Anzi, è cruciale. Ed è così fin da quando l’incubo è cominciato. I comportamenti personali, dall’uso della mascherina al rispetto delle distanze fino alla coscienza nella compilazione delle autocertificazioni, sono le prime e più efficaci arma a nostra disposizione. Esserne pienamente consapevoli significa assumersi una grossa responsabilità.

Ecco perché stonano fortemente i numeri che emergono da un lato dagli screening nelle baraccopoli e dall’altro dalle prime “prenotazioni” della popolazione scolastica. In questi casi l’assunzione di responsabilità è esponenziale. Le baraccopoli – per struttura delle stesse, per le condizioni igienico-sanitarie che le caratterizzano, per il concreto rischio di contagio laddove il concetto di distanza sfocia nell’utopia – sono i più pericolosi tra i potenziali focolai della città, la sfumatura più rossa della zona rossa messinese. La ritrosia a sottoporsi ai test, con numeri così bassi rispetto alla popolazione, di fatto rende quasi inutile uno screening di massa che, a queste condizioni, di massa ha ben poco. E non fa scendere se non di pochi centimetri l’asticella del rischio. Poi ci sono le scuole, grandi protagoniste del dibattito pubblico a tutti i livelli.

È molto probabile che solo a posteriori si potrà capire fino in fondo l’entità dal conto da pagare per questi mesi di necessaria didattica a distanza. Ma la scarsa risposta, almeno ad oggi, di studenti ma anche – purtroppo – insegnanti alla “chiamata al tampone” lascia esterrefatti, ad ormai quasi un anno dall’inizio della pandemia. Oggi che sappiamo molto di più del nemico che abbiamo di fronte, oggi che sappiamo a quale rischio esponiamo chi ci circonda, oggi che alle spalle abbiamo già fin troppe settimane di scuole chiuse, con tutto ciò che questo comporta in termini di estraniamento sociale, ancor prima che culturale, oggi questa assunzione di responsabilità non può più essere un’opzione. È un dovere.

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