Dimissioni post-datate. La storia si ripete, con il sindaco di Messina Cateno De Luca. E chissà che il finale non si riveli lo stesso. C'è un precedente, sostanzialmente tale e quale a quanto sta avvenendo in queste ore, nel mandato da sindaco di De Luca. Questa, infatti, è la sua seconda lettera di dimissioni.
La prima fu presentata il 28 settembre 2018, quando dalle elezioni erano passati poco più di tre mesi. Anche in quel caso De Luca si avvalse dei 20 giorni di tempo concessi dalla legge affinché le dimissioni abbiano efficacia. In quel lasso di tempo, pose una serie di condizioni al consiglio comunale: prima legò il proseguo del mandato alla modifica del regolamento del consiglio comunale, che secondo De Luca andava snellito per non rendere paludose le “riforme” da lui pensate, poi l'aut-aut all'Aula si dirottò sul famoso “Salva Messina”, il pacchetto di delibere proposte per stravolgere alcuni ambiti dell'azione amministrativa di Palazzo Zanca.
In mezzo ci furono qualche comizio e alcune sedute di Consiglio dai toni drammatici. Il 16 ottobre, quasi al fotofinish, incassato il sì del consiglio comunale al “Salva Messina”, De Luca ritirò le dimissioni da sindaco e annunciò (anche in quel caso posticipandole, però) quelle da deputato regionale. Una strategia, quella della minaccia delle dimissioni, adottata anche in altri casi (fin dalle primissime battute, vedi delibera di Arismè ad inizio mandato, senza dimenticare la telenovela del Cambio di passo), sempre con eguale efficacia (De Luca ha poi ottenuto ogni volta il risultato sperato) e sempre con lo stesso finale: la fascia tricolore rimasta addosso. Andrà così anche stavolta?
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