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Caso Manca, i genitori: «Sentite tutti i pentiti»

L’urologo morto a Viterbo nel 2004

Una lettera scritta con la penna del dolore giornaliero che li tormenta da diciassette anni. Una lettera inviata al presidente della 3° Sezione penale della Corte di appello di Roma, Gustavo Barbalinardo, in vista dell’esito del processo di secondo grado nei confronti di Monica Mileti, fissato per il prossimo 7 gennaio. E al magistrato che dovrà decidere la sentenza che Gino ed Angela Manca si rivolgono, dopo la richiesta del sostituto procuratore generale Marcello Monteleone, di confermare la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione inflitta in primo grado alla cinquantenne romana Monica Mileti. È accusata d’aver ceduto all’urologo barcellonese Attilio Manca, le due dosi di eroina che nella notte tra l’11 e il 12 febbraio del 2004 uccisero il medico siciliano. Sono i “resti” di un processo contorto per una vicenda giudiziaria ancora purtroppo molto oscura, che oltretutto non li vede nemmeno partecipare come parte civile. Fuori dal processo e dalla vita ormai da molto tempo.
E sono parole accorate quelle che gli anziani genitori di Attilio rivolgono al magistrato, chiedendogli di rifiutare «di dare seguito alla farsa iniziata a Viterbo e che pronunci la sentenza solo dopo aver acquisito tutte le prove. A partire dall’audizione di quei sei collaboratori di giustizia». Pentiti che non sono mai stati ascoltati. Nella lettera vengono quindi citati i collaboratori di giustizia Carmelo D’Amico, Giuseppe Setola, Giuseppe Campo, Stefano Lo Verso, Antonino Lo Giudice, e anche il milazzese Biagio Grasso - architrave dell’accusa nel fondamentale procedimento “Beta” su mafia e politica a Messina -, che più recentemente ha fornito alcune rivelazioni.
«Siamo stati esclusi all’inizio del dibattimento di primo grado dal Giudice di Viterbo - scrivono - su richiesta del pm Petroselli. A causa della nostra estromissione dal processo, la sentenza nei confronti dell’imputata è stata pronunciata senza l’acquisizione di prove fondamentali, che pure erano a conoscenza del pm e della difesa dell’imputata. Noi siamo certi - ribadiscono -, che nostro figlio Attilio sia stato ucciso e che quella droga gli sia stata iniettata da terzi. Del resto, nostro figlio era mancino, compiva ogni atto con la sinistra e, come hanno riferito tutti i suoi colleghi, sarebbe stato incapace di farsi l’iniezione con la mano destra. E, d’altra parte, se fosse stato lui a usare le due siringhe trovate a casa sua, sarebbero state rilevate le sue impronte su quelle siringhe. Risulta, invece, che le siringhe non riportavano impronte di Attilio».

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