Messina

Sabato 23 Novembre 2024

Barcellona, decise nuove indagini per l’omicidio Alfano

Il cronista Beppe Alfano

Forse c’è ancora spazio per ricercare la verità sulla morte di Beppe Alfano, il cronista ammazzato da Cosa nostra barcellonese nell’ormai lontano 8 gennaio del 1993, una sera fredda in via Marconi, sotto casa, con una “strana” pistola calibro 22. Ventotto anni di misteri e depistaggi sono passati, per uno scandaloso agguato ad un uomo che voleva scoprire la verità su trame che ancora oggi rimangono oscure. C’è ancora spazio perché ieri mattina, a distanza di un anno da quando si tenne l’udienza, il gip di Messina Valeria Curatolo ha depositato l’ordinanza con cui ha rigettato la richiesta di archiviazione della Procura e ha dato altri sei mesi di tempo ai magistrati della Dda per la «individuazione di possibili ulteriori mandanti dell’omicidio». Quei mandanti occulti che da sempre sono al centro delle domande “gridate” al vento giudiziario dalla famiglia Alfano. Perché la verità giudiziaria ormai definitiva che vede il boss Giuseppe Gullotti come mandante e il carpentiere Antonino Merlino come esecutore materiale, proprio alla luce della richiesta di archiviazione depositata un anno fa dalla Procura, che in realtà era un atto d’accusa per vent’anni di depistaggi, s’è palesata come una verità troppo di comodo incrostata ormai dal tempo. E tra l’altro di recente il boss Gullotti ha chiesto e ottenuto la revisione del processo che ha portato alla sua condanna a trent’anni. Ieri la figlia di Beppe, Sonia Alfano ha commentato così questa notizia: «Pur a distanza di 28 anni dall’uccisione di mio padre il Gip di Messina ci dà ulteriormente ragione, con le nuove indagini ordinate. Avevamo trovato noi le tracce di quel revolver in possesso, al tempo dell’omicidio, di uno stretto amico di Cattafi e poi misteriosamente scomparso. Ne aveva avuto conoscenza fin da subito il pm Canali, che occultò la notizia. Gli accertamenti ordinati dal Gip mirano a Rosario Cattafi, sul cui ruolo ormai da decenni noi sostenevamo andasse puntata l’attenzione. L’auspicio è che le nuove indagini alzino finalmente il velo sulle ragioni dei depistaggi compiuti fin dal primo momento. E che vengano sentiti, come richiediamo da tempo, il generale Mori e il giudice Canali sulla riunione romana del 27 febbraio 1993 con il giudice Di Maggio su “omicidio giornalista di Barcellona P.d.G.”. Quella riunione precedette di poche settime il tentato omicidio compiuto dal “capitano Ultimo” del figlio dell’imprenditore Imbesi, che sul revolver fatto sparire dal fascicolo e dalla circolazione era pericoloso testimone». Ecco invece il pensiero del legale della famiglia Alfano, l’avvocato Fabio Repici: «L’omicidio Alfano è un delitto di straordinario livello, come straordinario è il contesto barcellonese che lo ha prodotto. È il connubio di alta mafia e apparati deviati. Questo è il buco nero che con le nuove indagini ordinate dal Gip mi auguro finalmente venga smascherato». Sul piano tecnico sono due i profili prevalenti trattati dal gip Curatolo. Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione del procuratore aggiunto Vito Di Giorgio («appare del tutto condivisibile») per quanto riguarda il profilo degli esecutori materiali “nuovi”, ovvero Stefano Genovese e Basilio Condipodero, che erano stati iscritti nel registro degli indagati dalla Dda di Messina dopo le dichiarazioni del pentito barcellonese Carmelo D’Amico: «le sue propalazioni - scrive il gip -, non possono ritenersi riscontrate da quelle del fratello Francesco, prive di qualunque forma di autonomia e indipendenza». Quindi le loro posizioni sono archiviate. E il loro difensore, l’avvocato Diego Lanza, commenta così: «Giudizio positivo per un corretto provvedimento che arriva però ad un anno esatto dall’udienza di discussione. D’Amico Carmelo non solo non è stato riscontrato ma l’inaffidabilità del racconto deriva anche dal D’Amico stesso, che ha offerto più versioni tra esse contraddittorie e che ha addirittura smentito se stesso accusando prima l’uno poi l’altro indagato, facendo poi ulteriore dietrofront per essersi confuso a suo stesso dire tra l’omicidio Alfano e l’omicidio di tale Bucolo Domenico». L’altro aspetto trattato dal gip Curatolo è quello della ricerca dei “nuovi” mandanti. E qui il giudice, accogliendo alcuni punti-chiave dell’opposizione alla richiesta d’archiviazione presentata a suo tempo dall’avvocato Fabio Repici per la famiglia Alfano, ha disposto per la Dda di Messina sei mesi di nuove indagini con alcune audizioni. Al centro c’è l’ormai famigerato revolver calibro 22 della “North American Arms” che passò di mano in mano, tra Barcellona e Milano. Una storia ancora oggi completamente fumosa. Il gip scaletta passaggi precisi per «approfondimenti investigativi»: la data a partire dalla quale Mariani Franco ebbe la disponibilità dell’appartamento sito in Milano, piazza Savoia 22; la data a partire dalla quale Caizzone Mario ebbe la disponibilità dell’appartamento sito in Milano, piazza Savoia 22. E poi fissa alcune audizioni: «di Caizzone Mario in ordine ai suoi rapporti con Cattafi Rosario e ai suoi eventuali rapporti con Mariani Franco; di Cordera Marisa, moglie di Mariani Franco, deceduto, in ordine ai rapporti di quest’ultimo con Cattafi Rosario e ai suoi eventuali rapporti con Caizzone Mario; di ogni altra persona in grado di fornire informazioni sulle predette circostanze». Sì, forse c’è ancora spazio per ricercare la verità sulla morte di Beppe Alfano. L’8 gennaio ormai è vicino.  

leggi l'articolo completo