Se c'è un caso emblematico di cosa si sarebbe potuto e dovuto fare e non si è fatto, in Sicilia, tra la prima e la seconda ondata Covid, è quello del Policlinico di Messina. Venerdì sera è arrivata la notizia che non si può certo definire inattesa: il reparto di rianimazione è saturo. Venti posti di terapia intensiva su venti occupati da pazienti Covid. Ieri ne sono stati subito attivati altri quattro, tra quelli della Stroke Unit, e altri otto (sempre tra Stroke Unit e Neurochirurgia) sono in “riserva”, attivabili, cioè, quando ce ne sarà bisogno. Insomma, non sembrerebbe, sulla carta, un problema numerico. Ma il problema c'è e riguarda tutte le altre casistiche, no Covid, per le quali potrebbe crearsi la necessità di un ricovero in terapia intensiva e che possono contare su appena 4 posti, al padiglione H, oltre a quelli di chirurgia generale.
E tutto questo conduce al problema di fondo, “il” problema: da marzo, da quando cioè quest'incubo ha invaso le corsie degli ospedali siciliani, non è stato creato alcun posto in più rispetto a quelli esistenti. Di fatto, quando si è chiusa la prima fase emergenziale si è agito come se il Covid fosse ormai un guaio da mettersi alle spalle. Come se una seconda ondata, in autunno, non fosse prevedibile. Basta scorrere gli atti di questi mesi. A partire dal “Piano di emergenza generale Covid” redatto il 23 marzo dal “Crisis team” del Policlinico. Con quel documento si istituiva il Covid Hospital al padiglione H, con 70 posti letto di degenza ordinaria e il trasferimento delle altre unità operative di quell'edificio in altri padiglioni. In quel documento si affermava che i posti di terapia intensiva attivi, nel reparto di Rianimazione al padiglione E, erano 22 (ma in una tabella, qualche pagina più avanti, si riducevano a 20).
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