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I "Barcellonesi" a Mangialupi, la droga merce di due clan storici

Differenti canali, un unico scopo: spacciare quanta più droga possibile. Ovunque. I tempi cambiano e la mafia barcellonese si adegua. Camaleontica. La “roba” giunge dalla Calabria e dalla Sicilia orientale, perché la “Dinastia” - nome scelto per l'operazione che ha coinvolto 59 indagati - deve imporre la sua legge nella città del Longano, nei centri limitrofi e finanche alle Isole Eolie. Una fonte di approvvigionamento è Messina, a testimonianza di un legame sotterraneo ma forte tra Cosa nostra di Barcellona e alcuni clan peloritani.

Dalla provincia tirrenica ci si rifornisce di grosse partite di stupefacenti nel rione di Mangialupi, “supermercato” che rappresenta una garanzia per clienti di tutto rispetto. Soliti personaggi i grossisti. Irredimibili. Un esempio? Francesco Turiano, alias “Nino Testa”, leader del sodalizio di Mangialupi, compare nelle carte dell'ultima inchiesta di carabinieri e Dda. Avrebbe fatto parte di un'organizzazione dedita all'acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti di vario tipo, tra cui cocaina, marijuana, hascisc e altre, nonché allo spaccio al minuto.

Capo promotore del gruppo individuato dall'accusa in Lorenzo Mazzù (sino al luglio 2013), stabili acquirenti e pusher Daniele Bertolami, Carmelo Cannistrà, Salvatore Chillari, Claudio Febo, Antonio Giacinta, Salvatore Piccolo, Antonino Recupero, Sergio Spada; procacciatore della droga e altro spacciatore Carmelo Mazzù, distributore e spacciatore Nunzio Grasso. Poi, riconosciuti quali fornitori gli omonimi Orazio Maggio (classe 1972 e 1982), Mariano Maggio, Salvatore Laudani e Giuseppe Scalia.

Più attivo il ruolo di Nunzio Di Salvo, figlio dello storico boss “Sem”: pusher e collettore delle somme ricavate dallo smercio, al fine di garantire il mantenimento degli affiliati in carcere. Non mancava il mediatore, compito cucito sull'abito di Vincenzo Nucera, tramite «tra i Barcellonesi e i l gruppo di Mangialupi riconducibile a Francesco Turiano e al nipote Santino Di Pietro».

Con l'arresto dei fratelli Mazzù (Lorenzo e Carmelo), nel 2013, capo diventa Alessio Alesci, poi destinatario di ordine di cattura nell'ambito dell'operazione Gotha V. Nel corso delle indagini, un colpo fondamentale coincide col sequestro, a suo carico, del libro mastro del sodalizio, contenente nomi degli acquirenti della “roba” e cifre incassate. Poi, la collaborazione con la giustizia di Alesci apre scenari nuovi. Tra le tante dichiarazioni rese ai pubblici ministeri quelle sui narcotraffici .

«Iddu, Carmelu Mazzù, si occupava sempri di spacciu, infatti quando l'hanno arrestato “vanzava” qualche 40mila euro... aveva fatto un carico a soldi da Nino Testa, ancora era libero, e questi soldi glieli ha raccolti Mariano Calabrò... però i soldi se li sono mangiati, gliene hanno mandati a lui neanche la metà, e gli hanno preso clienti... pure a Messina aveva buoni rapporti... sempre con Nino Testa». Analoghi riscontri pure dal collaboratore Aurelio Micale: «Carmelo Mazzù, mentre eravamo detenuti nelle cellette del Tribunale di Messina, mi disse che egli e Giovanni Perdichizzi si erano riforniti di cocaina da Nino Turiano detto “Testa” ed erano rimasti in debito nei confronti di costui per la somma di circa 30mila euro. Mi confidò che gli aveva falsamente rappresentato che l'acquisto della droga era stato operato solo da Perdichizzi, nel frattempo ucciso, e che lo stesso Mazzù non intendeva rispondere di questo debito».

Per un chiarimento, la sorella del creditore, Carmela Turiano, che si faceva chiamare “Tania”, si reca a Barcellona con alcune amiche. E ancora Alesci sulle “missioni”: «Siamo andati a Mangialupi altre due o tre volte... ne abbiamo presi cinque, poi altri dieci... nta strada, arrivava col borsone, a ittava supra da machina e nannaumu».

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