Si chiude in primo grado con 39 condanne e 18 assoluzioni il processo per i casi di assenteismo all'ex Provincia regionale di Messina davanti al giudice monocratico Fabio Pagana che ha letto in aula la sentenza. Il pm Annalisa Arena nel febbraio scorso aveva chiesto 44 condanne e 13 assoluzioni. La richiesta di pena più alta era stata di un anno e sei mesi. Si tratta dell'indagine della Digos che fu gestita a suo tempo dal pm Antonio Carchietti. Erano coinvolti nel processo parecchi dipendenti di Palazzo dei Leoni a più livelli, dai dirigenziali agli impiegati.
Agli atti dell’inchiesta sono stati cristallizzati a suo tempo ben 38 capi d'imputazione. In 36 casi di tratta di truffa ai danni dello Stato, che secondo la Procura sarebbe stata orchestrata con il classico “accordo del badge”. Lo spettro temporale che all’epoca la Digos prese in osservazione fu il dicembre del 2012, gli accertamenti scattarono il 6 e si conclusero quasi sotto Natale. La tipologia dei 36 casi di truffa è praticamente in fotocopia: un dipendente che «si assentava dal luogo di lavoro, e tuttavia dissimulava tale assenza conferendo il proprio “badge segnatempo”» a un collega «il quale provvedeva - tramite la timbratura (“strisciata”) del predetto badge, effettuata, in luogo del collega, nell’apposita apparecchiatura elettronica predisposta dall’amministrazione di appartenenza per la rilevazione ed il controllo dell’entrata e dell’uscita dal luogo di lavoro - a far falsamente apparire» il collega «presente nelle ore in cui costui era, in realtà, assente dal luogo di lavoro».
Ci sono poi due episodi di danneggiamento che riguardano esclusivamente altri due imputati, e sono casi molto singolari. Il 10 dicembre del 2012 un dipendente si rese evidentemente conto che era stata installata una telecamera dagli investigatori della Digos nel corridoio del piano terra vicino all’ingresso principale di corso Cavour della Provincia, quindi prese un bel bastone telescopico («si muniva di bastone allungabile») e cominciò a menare fendenti a destra e a manca fin quando la telecamera si frantumò («rimossa dal suo alloggiamento prendeva a penzolare e, ulteriormente colpita dall’indagato, subiva il distacco del circuito»). Il 14 dicembre, quindi pochi giorni dopo, un altro impiegato si accorse della telecamera che era stata collocata all’altro ingresso di via XXIV Maggio, prese il manico di una scopa e spostò le telecamere una per volta, rivolgendole verso il muro.
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