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Pensione vista mare, gerarca del regime argentino latitante di lusso a Portorosa

Pensione di lusso a Portorosa per il torturatore

Una Panda verde per le piccole incombenze, una Mercedes Clk cabrio blu per godersi i tornanti tirrenici – da solo o con la compagna argentina che di tanto in tanto lo raggiunge in Italia e che vorrebbe sposare –; un cabinato per pescare nel golfo di Patti.

Carlos Luis Malatto, 70 anni, accusato di gravi crimini durante il regime militare golpista argentino di Videla, si gode la pensione in quel rifugio, spesso dorato per latitanti e mafiosi, che risponde al nome di Portorosa, mega-complesso turistico di Furnari, nel Messinese.

Lo ha scovato “Repubblica” e la notizia, ieri, ha fatto il giro dei due mondi in pochi minuti. Malatto, doppio passaporto argentino e italiano (grazie al nonno di Sestri Levante), vive in Italia dal 2011 da uomo libero – una prima richiesta di estradizione è stata respinta, la seconda dall’Argentina non è ancora giunta –. È accusato dell’assassinio di Juan Carlos Cámpora, fratello dell’ex presidente della Repubblica Argentina Hector José; di tortura e violenze sulla modella franco-argentina Marie Anne Erize Tisseau; dell’omicidio di Jorge Alberto Bonil, un ragazzo che faceva il militare nel reggimento comandato da Malatto (ufficiale dell’Esercito); della morte di José Alberto Carbajal, vicino ai peronisti.

Un criminale di guerra per gli argentini, un ospite evidentemente gradito in Italia, dove è giunto nel 2011 dopo un soggiorno in Cile. Malatto è stato ospitato a L’Aquila dalla Confraternita della Misericordia, a Genova dalla Parrocchia di San Paolo Apostolo; difeso dagli avvocati Augusto Sinatra (iscritto alla P2, è stato anche legale di Licio Gelli) e Franco Sabatini, il gerarca di Videla è approdato in Sicilia nel 2017, nell’Ennese, a Calascibetta. Rintracciato dalla stampa spagnola, Malatto s’è trasferito a Portorosa. Una villetta al primo piano, interno 25, del lotto S1, di proprietà di una donna di Enna (P.A.), affittata da un fiduciario.

Quella di Malatto è una storia in cui si intrecciano – tra il 1975 e il ’77 – i crimini del regime golpista di Videla, l’inquietante ruolo della P2, i troppi silenzi della Chiesa e la sostanziale acquiescenza dei Paesi democratici occidentali e di ogni altra latitudine che nel ’78 si ritrovarono in Argentina a disputare un mondiale di calcio e celebrare Videla mentre migliaia di famiglie piangevano i “desaparecidos”. In Italia Malatto sta vivendo da uomo libero, ma di quali coperture ha goduto? E perché ha scelto la Sicilia – terra in cui nulla accade per caso – come ultimo approdo? Da ultimo stava programmando il matrimonio con una connazionale, ma bisognava mettere a posto i documenti.

A Portorosa lo conoscono come “Carlos l’argentino”, ma nessuno, ieri, era disponibile a rassegnare aneddoti. Un ordigno, il “caso Malatto”, esploso sotto le poltrone del governo giallo-verde, quello che ha preteso e ottenuto l’estradizione di Cesare Battisti dal Brasile, che respinge i migranti, ma che si tiene in casa criminali di guerra inseguiti nel Paese d’origine da mandati d’arresto.

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