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Bilanci comunali falsificati a Messina, 28 condanne: un anno e cinque mesi all'ex sindaco Buzzanca

L'ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca

Si conclude con 28 condanne e nessuna assoluzione totale il processo di primo grado sui bilanci comunali a Messina, che secondo la Procura tra il 2009 e il 2012 furono "falsificati" per evitare il dissesto economico del Comune. L'ex sindaco Buzzanca è stato condannato a un anno  cinque mesi. Ci sono tre tipologie di condanne: un gruppo di imputati è stato condannato a un anno e cinque mesi, un altro a un anno e un mese e il terzo a un anno e tre mesi. Nei confronti di circa una decina di imputati è stata dichiarata la prescrizione totale e molti di loro escono completamente dal processo.
Il collegio della prima sezione penale presieduto dal giudice Silvana Grasso ha concluso la lunga camera di consiglio iniziata stamattina per uno dei processi-simbolo degli ultimi anni. Nel procedimento erano imputati in 34 tra politici, ex assessori, amministratori e funzionari comunali delle giunte comunali che facevano capo all'ex sindaco Giuseppe Buzzanca.

Il pm Antonio Carchietti, che ha rappresentato l'accusa al processo e a suo tempo coordinò le indagini, aveva richiesto all'udienza scorsa condanne tra gli 8 mesi e i 2 anni di reclusione, ma anche assoluzioni totali e dichiarazioni di prescrizione.

In particolare il pm aveva chiesto ai giudici della prima sezione penale 22 condanne e poi 12 tra assoluzioni e prescrizioni totali. Per l'ex sindaco Giuseppe Buzzanca il pm aveva chiesto la condanna a 2 anni e 3 mesi di reclusione.

Nel 2014, quando scattò l'inchiesta, furono ben 73 in totale gli indagati: tra amministratori pubblici, consiglieri comunali, funzionari di Palazzo Zanca e revisori dei conti dei 4 anni di amministrazione comunale che vanno dal 2009 al 2012. Tutti furono accusati, a vario titolo, delle ipotesi di reato di falso ideologico e abuso d’ufficio.

L’intera giunta Buzzanca, due consigli comunali, furono chiamati a rispondere sui motivi della mancata dichiarazione di default, che secondo l’accusa avrebbe dovuto essere formalizzata sin dal 2009. In pratica – secondo la Procura – gli indagati avrebbero omesso di dichiarare il dissesto e, invece, avrebbero approvato entrate, uscite e previsioni di spesa.

In concreto "funzionari comunali, amministratori pubblici, consiglieri comunali e revisori dei conti pur nella piena consapevolezza di debiti fuori bilancio e del mancato stanziamento di somme sufficienti al finanziamento dei debiti stessi, avrebbero formato e approvato i bilanci". Per altri indagati, invece, all’ipotesi di falso venne aggiunta anche quella del reato di abuso d’ufficio, consistente “nell’aver aggravato, anno dopo anno, il dissesto ritardandone la formalizzazione”. Un abuso che – a detta della Procura – avrebbe determinato ingiusto vantaggio patrimoniale ai politici che sarebbero rimasti in carica e inoltre non avrebbero dovuto giustificare alla Corte dei Conti il default.

Così facendo, Messina avrebbe pagato per anni un esubero di tasse a causa dei "buchi" di Palazzo Zanca.

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