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Quella cosa che ci salva sempre: l’amore. Da Messina Luca Zingaretti sul suo film «La casa degli sguardi»

Il dolore e la voglia di tornare ad emozionarsi: l'attore romano parla della pellicola, in sala dal 10 aprile, di cui è regista e anche interprete

Il dolore e la voglia di tornare ad emozionarsi, la forza dei legami affettivi, il potere salvifico dell’arte e del lavoro nella storia di formazione e riscatto di «La casa degli sguardi», debutto alla regia di lungometraggio di Luca Zingaretti, liberamente ispirato all’omonimo, primo romanzo autobiografico del poeta Daniele Mencarelli (Mondadori, 2018).

In sala dal 10 aprile con Lucky Red, dopo l’anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma (sezione “Grand public”) e la recente partecipazione al Bifest, il film dell’attore romano ha come protagonista uno dei volti più promettenti del cinema italiano, Gianmarco Franchini («Adagio» di Stefano Sollima), nei panni del ventenne Marco, figlio di un conducente di tram (Zingaretti), con uno spiccato talento per la poesia. Ma altrettanto forte è la sua dipendenza da alcool e psicofarmaci, sviluppata dopo la morte della madre (un cameo dell’attrice messinese Katia Greco), che ha compromesso gli studi e le sue relazioni, compreso il rapporto con la fidanzata. Quando, a seguito di un incidente stradale per stato di ebbrezza, il ragazzo viene mandato a lavorare per una cooperativa che svolge le pulizie all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, è convinto che la routine ospedaliera lo ucciderà; e invece potrebbe rivelarsi l’occasione per un nuovo equilibrio.

«Da dieci anni avevo il desiderio di raccontare una storia dietro la macchina da presa – ci dice Zingaretti, che venerdì ha incontrato il pubblico messinese alla multisala Apollo –. Avevo cominciato a lavorarci quando mi sono imbattuto in “Tutto chiede salvezza” dello stesso Mencarelli (romanzo da cui è stata tratta l’omonima serie Netflix). Da lì ho trovato la storia de “La casa degli sguardi” e mi sono detto che era la vicenda giusta per fare questa esperienza».

Un film a più dimensioni, in cui la vicenda di Marco diventa riflessione sul disagio mentale e relazionale, ma soprattutto sul rapporto con se stessi, dove la bellezza e il suo potere salvifico si esprimono in ogni punto della storia. «“La casa degli sguardi” parla della straordinaria capacità che abbiamo noi esseri umani di rimetterci in piedi dopo che la vita ci ha presi a bastonate. Tutti quanti abbiamo fatto esperienze di questo tipo. Poi a un certo punto, mentre sei là nel buio, vedi in lontananza una luce e capisci che quella luce è l’uscita dal tunnel; e allora intraprendi un cammino che ti riporterà dopo un po’, citando l’Alighieri, “a riveder le stelle”».

Ma dove risiede quella bellezza che porta alla rinascita? «La bellezza – prosegue Zingaretti – penso si esprima nella capacità salvifica dell’amicizia e dell’amore, fondamentali quando bisogna rimettersi in piedi; come avviene nel lento riscoprirsi di Marco attraverso gli altri personaggi del film e un lavoro che lo mette a contatto con i suoi limiti, ponendo dei paletti funzionali alla crescita personale».

Zingaretti narra tutto ciò con sobrietà e misura, evitando enfasi o stereotipi sulla dipendenza o la vita ospedaliera e prendendo le distanze da facili suggerimenti pedagogici: «I ragazzi si educano attraverso l’esempio, non a chiacchiere – aggiunge –. Il padre di Marco ha deciso di educare il figlio facendo della propria vita una testimonianza. Gli dice: “Da uomo semplice quale sono non ho gli strumenti per mettere mano al tuo disagio, ma sappi che per te io ci sono”. E quando hai la fortuna di avere qualcuno che ti dice questo, sei una persona salva».

Il finale aperto, con una ripresa sulle luci dell’alba, potrebbe suggerire il lieto fine?
«A un certo punto il ragazzo decide di non ammazzarsi con gli shottini. Va dal padre, ha voglia di stare al sicuro e soprattutto ricomincia a scrivere. Potrebbe essere un lieto fine. Però…. “del diman non v’è certezza”».

Scritto da Zingaretti con Gloria Malatesta e Stefano Rulli, ”La casa degli sguardi” è una produzione Bibi Film e Clemart con Rai Cinema, Stand by Me e Zocotoco.

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