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Ferrara e il richiamo del Sud. Al Tao FilmFest la masterclass del regista Usa che ricorda le sue radici

Padre Pio e Pier Paolo Pasolini? «Sono due grandi poeti accomunati dall’amore per la terra e dalla vita semplice»

«Vedere Harrison Ford ringiovanito con l’AI è stato incredibile». Lo dice Abel Ferrara, durante la masterclass di ieri a Casa Cuseni, prima del bis dell’1 luglio con Willem Dafoe, suo attore prediletto dopo Harvey Keitel. Il riferimento ad un’altra star di questo Film Fest fa scattare un parallelismo spontaneo, rendendo ancora più gradito il suo fare amichevole e curioso. Al suo arrivo siede al pianoforte del salotto, improvvisando un’arietta allegra e chiede informazioni sulla storia della suggestiva dimora che lo ospita. È già amico di famiglia e conversa con i giornalisti. Si entra nel vivo con Geoff Gilmore, direttore del Tribeca Film Festival e moderatore – affiancato dal co-direttore artistico del festival Barrett Wissman – che ne sottolinea la statura di grande maestro (“Il cattivo tenente”, “Occhi di serpente”, “The Addiction”, titoli della celebre “Trilogia del Peccato”, e poi “New Rose Hotel”, “Il nostro Natale”, “Go Go Tales”), sempre pronto a sfidare lo spettatore, che alle mode hollywoodiane preferisce di gran lunga il gusto cinematografico europeo. «In America il pubblico si aspetta di vedere sempre qualcosa di tradizionale e lineare – ha detto – In Europa invece puoi esprimerti in maniera diversa, contro mode e convenzioni».

Immediato il focus sul suo “Padre Pio” presentato a Venezia (il regista è buddista ma devoto al Santo di Pietrelcina), un santo assunto a modello spirituale, di cui ha sempre avvertito la presenza nella vita: «Ho avuto una connessione interna con lui perché mio nonno era di Sarno (Salerno), poco distante da Pietrelcina». Si riferisce a nonno Abele, coetaneo di Padre Pio, trasferitosi in California ai primi del ‘900.

Ma il regista ha sempre sentito forte il richiamo del Sud, e ha soggiornato a Napoli fino al 2012. Si racconta con grande schiettezza Ferrara, non evitando riferimenti alla sua dipendenza da alcol e droghe, citando la Comunità di Maddaloni in cui si è disintossicato. E un ulteriore riferimento al suo Santo, ma con ironia: «A Napoli ho scoperto che Padre Pio e Maradona sono i santi patroni dei malavitosi e degli spacciatori. Ogni volta che andavo a comprare droga, c’era una statua di Padre Pio». Il film narra il momento cruciale della vita del Santo durante l’eccidio avvenuto a San Giovanni Rotondo nel 1920: «Volevo raccontare la sua storia di giovane uomo prima di diventare frate, in un periodo molto particolare, quando la sinistra vinse la prima elezione democratica del dopoguerra. Un duro colpo per la destra che protestò per la prima volta con le armi».

Quell’evento segnò l’inizio del fascismo, durante il quale il giovane Padre Pio ebbe le stimmate. Una coincidenza con l’eccidio che il regista scoprì nella fase di documentazione per il film. «Ero sbalordito, incredulo. Una pagina di storia che non si insegna nelle scuole italiane», ha ribadito, per poi paragonare la figura di Padre Pio a quella di Pasolini (oggetto del suo film del 2014 con Willem Dafoe), «grandi poeti accomunati da amore per la terra e la vita semplice. Pasolini diceva che si può andare contro il fascismo, ma non contro il consumismo – ha ricordato – Lo aveva previsto 50 anni fa».

Nonostante la vita del grande scrittore abbia in parte smentito questa intuizione, per Ferrara Pasolini rimane un grande maestro, che ha pagato con la vita l’esternazione della propria omosessualità. Non poteva mancare un riferimento al processo di realizzazione del film, definito come un continuo divenire che esiste realmente quando il pubblico lo guarda: «L’unica persona che vede davvero il film è il compositore – afferma – per realizzare la colonna sonora sulle immagini. È lui che dice al resto della troupe se qualcosa non va, non il regista, assorto nel suo ruolo come gli attori». Per il grande cineasta, infatti, l’idea generale di un film cambia, anche a riprese finite, e non si sa come sarà il prodotto finale. Al pubblico la sentenza!». Fondamentale il rapporto con gli attori, ed il suo con Willem Dafoe sembra davvero speciale. Sicuramente «di fiducia reciproca» – sottolinea – ma li accomuna anche la voglia di guardare al futuro, progettare, senza mai voltarsi indietro. «Il passato è zero», conclude.

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