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Sebastiano Ardita: «Al Csm porterò le istanze dei colleghi di Messina»

Sebastiano Ardita: «Al Csm porterò le istanze dei colleghi di Messina»

CATANIA

Dott. Sebastiano Ardita, oggi procuratore aggiunto di Catania ma a lungo in servizio come aggiunto a Messina. Quali sono le ragioni della sua candidatura al Csm per Autonomia&Indipendenza con i colleghi Davigo e Pepe?

«Le ragioni stanno nel fatto che esiste un momento diverso per ogni tipo di impegno. La condizione professionale dei magistrati non è attualmente delle migliori, per tante ragioni. La domanda di giustizia è cresciuta in modo anomalo ed è difficile riuscire a dare risposte ai cittadini. Inoltre il nostro autogoverno è piuttosto in crisi, perché i magistrati non si riconoscono più nelle correnti tradizionali».

- La sua area di riferimento di A&I come vuole riformare il Csm?

«Vorremmo tornare ad una condizione in cui il Csm sia un organo al servizio della giurisdizione, che si prenda carico dei problemi degli uffici, piuttosto che un organo sovraordinato, che preferisce la quantità a discapito della qualità della giustizia, e finisce per essere più duro con i magistrati scrupolosi, piuttosto che con quelli senza scrupoli. È giusto poi assicurare parità di trattamento per tutti, anche per coloro che non si riconoscono nei gruppi rappresentati nell’autogoverno, anche nella progressione in carriera».

- Le cosiddette “correnti” in magistratura hanno ancora un senso o sono oggettivamente superate?

«Avrebbero un senso se si confrontassero sui sistemi di giustizia e sul ruolo del magistrato nella società. Ma purtroppo la loro ricchezza e diversità culturale è stata prosciugata dalla quotidiana gestione del potere».

- I magistrati e la politica non dovrebbero stare un po’ distanti? E devono andare in televisione come fa il suo collega e amico Davigo?

«Piercamillo Davigo ed anche Ilaria Pepe ed io (i candidati al Csm nei tre collegi “Legittimità”, “Giudici” e “Pm”) siamo convinti che i magistrati debbano rimanere distanti dalla politica, dai patti con i governi e dalla compartecipazione nelle importanti nomine che vengono effettuate. Prova ne è il fatto che il neo Ministro della Giustizia non si è rivolto a noi per formare il suo staff, anche se il nostro gruppo è stato l’unico a denunciare il rapporto stretto dei precedenti governi con le altre correnti e tutti si aspettavano che avremmo invaso il Ministero. Noi abbiamo iniziato da qui a dare l’esempio: marcando la distanza rispetto alle scelte iniziali di nomina del nuovo governo gialloverde. Andare in televisione ben venga se serve a partecipare al dibattito pubblico e a manifestare le proprie idee sulle possibili riforme della giustizia. Distanza con la politica, significa distanza dai patti e dagli interessi, non certo chiusura al dialogo».

- Proprio la sua area geografica di riferimento “soffre” per organici e sedi, lei cosa può fare in questo senso, visto che a Messina ci ha passato parecchio tempo e a Catania ora ci lavora?

«Io concorro come rappresentante di Messina, che è il Distretto nel quale è maturata la mia candidatura, ed anche di Catania, che oltre ad essere la mia città è anche la sede nella quale opero attualmente. Sarò a disposizione per risolvere i problemi di questi territori, e lo sarò anche con la presenza fisica perché ritengo sia un dovere».

- Le manca un po’ la città dove ha lavorato per quasi sei anni?

«Personalmente mi mancano molto i miei colleghi ad anche la città che mi ha accolto e salutato con grande affetto. Ai colleghi messinesi devo molto perché è anche grazie a tutti loro se ho acquisito la forza per essere candidato al Csm, in un collegio unico nazionale che elegge solo 4 pubblici ministeri. Se non mi avessero sostenuto e circondato della loro considerazione, non avrei avuto questa opportunità. Non mancherà a me adesso di ricambiare tutto questo, e pormi nella condizione di far conoscere la professionalità e la serietà dei magistrati di questo distretto. Non ho mai conosciuto un ambiente giudiziario così sereno e coeso, dovrebbe essere un esempio per tutti».

- Il Csm “protettore” dei magistrati e non vero organo di autogoverno e disciplina, secondo lei è solo un’impressione o la realtà?

«Il Csm deve tutelare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati, non certo proteggerli se commettono errori ai danni dei cittadini. Neppure però deve accettare che essi siano chiamati a trattare una quantità di processi che non è compatibile con una giustizia di qualità e a volte neppure con i limiti umani. Ecco perché deve interloquire con la politica affinché i sistemi processuali portino ad una riduzione dei processi inutili». 

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