Il boss di Camaro Carmelo Ventura è uno della “vecchia guardia”. Ha vissuto le stagioni di mafia e di guerra in città. All’epoca del clan Leo “veniva subito dopo il capo” ed era “alla pari” con Giorgio Mancuso. Ma ieri mattina per la prima volta nella sua vita in un’aula d’udienza, nel fare dichiarazioni spontanee al processo dal sito protetto dove è detenuto, non ha parlato di mafia. Ma di una storia diversa. Una storia di fede. Nel processo “Matassa” è inguaiato dalle dichiarazioni dei pentiti Gaetano Barbera, Salvatore Centorrino, Francesco D’Agostino, Daniele Santovito, Francesco Comandè e Massimo Burrascano. Il dato più “forte” che emerge dalle dichiarazioni è senza dubbio quello della triade Ventura-Gatto-Spartà «avente il monopolio delle estorsioni in città».
Ieri però Ventura ha rivendicato un profondo cambiamento avvenuto negli ultimi anni, dopo lunghi periodi di carcerazione precedenti, quando «... ho cominciato a vedere tutto in maniera diversa e ho abbracciato il cammino catecumenale... per me è stato un modo di intraprendere una vita onesta». Un percorso che lo ha portato addirittura - ha poi raccontato - , ad essere nel tempo nominato come responsabile del “cammino” alla chiesa di Pompei. E da quel momento ha cercato di coinvolgere in questa nuova vita tutti quelli che considerava “vicini”. Quel panificio che voleva aprire - ha detto ieri -, era proprio l’inizio di un percorso nuovo di fede.
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