L’operazione antimafia “Beta” sulla cupola mafiosa messinese e sul suo volto apparentemente pulito arriva all’udienza preliminare. È sarà il gup Carmine De Rose ad occuparsene, a cominciare dal 7 giugno prossimo. È questa infatti la prima data utile fissata dal magistrato per dare l’avvio al confronto accusa-difesa del maxi procedimento che vede ben cinquanta imputati tra nomi eccellenti, personaggi di primo piano e gregari.
Al centro di tutto la “cellula” criminale locale che in città si avvaleva anche di imprenditori e di colletti bianchi, integrando le caratteristiche dell’associazione mafiosa. Un’inchiesta dei sostituti della Dda peloritana Liliana Todaro e Fabrizio Monaco, e del collega della procura ordinaria Antonio Carchietti, coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia.
È questa l’indagine dei carabinieri del Ros, coordinata a suo tempo dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, che aveva portato in carcere nell’agosto del 2017 trenta persone, svelando l’esistenza di una cellula di Cosa nostra etnea a Messina, sovraordinata ai gruppi mafiosi operanti nella provincia, che si avvaleva di professionisti, imprenditori e funzionari pubblici per gestire rilevanti attività economiche.
Rimangono inalterate, anche dopo il passaggio consumato a suo tempo davanti ai giudici del Riesame, le contestazioni di associazione mafiosa che sostenevano le misure cautelari per Vincenzo e Francesco Romeo, ritenuti al vertice della famiglia mafiosa, nonché, tra gli altri, di Pasquale Romeo, Benedetto Romeo, Antonio Romeo, Stefano Barbera, Marco Daidone e N.L..
E rimangono coinvolti per concorso esterno in associazione mafiosa anche l’imprenditore Carlo Borella, ex presidente dei costruttori di Messina, e l’avvocato Andrea Lo Castro. Per quest’ultimo il gip da tempo ha revocato la misura degli arresti domiciliari, sostituendola con quella dell’obbligo di dimora in Messina e dell’interdizione dall’esercizio della professione legale. Nell’inchiesta rimangono coinvolti anche, per corruzione il tecnico comunale di Messina, l’ing. Raffaele Cucinotta, l’imprenditore Rosario Cappuccio, per estorsione, e l’imprenditore Biagio Grasso, che negli ultimi mesi è diventato un collla boratore di giustizia ed ha riempito clamorosi verbali che coinvolgono molti “papaveri” tra amministrazioni pubbliche, banche e politici. Verbali che per buone parte sono ancora “coperti”.
È emblematico per capire il contesto il primo capo d’imputazione che sarà sicuramente il perno dell’udienza preliminare, ovvero l’accusa di associazione mafiosa contestata dalla Procura a Francesco Romeo, Vincenzo Romeo, Benedetto Romeo, Pasquale Romeo, Pietro Santapaola, Vincenzo Santapaola, Antonio Romeo, Stefano Barbera, Biagio Grasso, Giuseppe Verde, N.L. e Marco Daidone. Ovvero l’aver creato negli anni e mantenuto in piedi fino al settembre del 2015 un’organizzazione mafiosa promossa da Francesco Romeo e diretta da Vincenzo Romeo collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania, attiva in molti “business”: «estorsione, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, frodi informatiche, gioco d’azzardo illegale e trasferimento fraudolento di beni, corse dei cavalli». La contestazione accusatoria principale parla poi di un altro “scopo societario”, ovvero: «assumere il controllo di servizi di interesse pubblico (quali quello per la consegna a domicilio di parafarmacie per la distribuzione dei farmaci), di autorizzazioni e concessioni (per l’esercizio dei giochi), per condizionare l’andamento di pubbliche forniture (quali quelle legate all’acquisto da parte del Comune di Messina di immobili da adibire ad alloggi), per assumere il controllo e l’esecuzione di pubblici appalti (subentrando di fatto nella gestione delle imprese Demoter e Cubo aggiudicatarie di rilevanti lavori pubblici, anche allo scopo di svuotarle dei contenuti patrimoniali per realizzare bancarotte con frode a danno dei creditori)».
Agli atti dell’inchiesta c’è una intercettazione ambientale effettuata dai carabinieri del Ros nello studio dell’avvocato Andrea Lo Castro in piena estate, nell’agosto del 2014, che secondo l’accusa prova soprattutto due cose: il coinvolgimento pieno del legale nei piani operativi della “cellula” mafiosa, l’impressionante capacità economica e di riciclaggio internazionale che aveva il gruppo mafioso messinese-etneo.
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