Messina
«Le immagini hanno una potenza violenta». Lo afferma Francesco Ferla, Architetto, designer, digital artist e fotografo 46enne di fama internazionale. Mai come in questo caso le etichette si rivelano superflue, cedendo il passo alla potenza dello sguardo sulle cose. Nato e cresciuto a Palermo, Francesco Ferla si è laureato in architettura a Firenze, ha collaborato con Wacom Technology Corporation Japan e Wacom Co America e da molti anni è residente tra Londra e Parigi, fondatore dello studio Organica London che si occupa di concept visuali. In questi giorni è a Messina per il workshop fotografico gratuito “Visioni fotografiche dell'architettura messinese” – un’iniziativa promossa dall’Associazione culturale Art Revolution assieme all'Ordine degli architetti P.P.C. della Provincia di Messina - guidando una classe di fotografi, mostrando loro l’architettura cittadina con occhi diversi, «astraendo le facciate delle chiese e i monumenti da tutto ciò che c’è intorno».
Il tema è dei più affascinanti. Si può rendere irriconoscibile il riconoscibile, trasfigurare la bellezza delle cose? Estrapolare la facciata del Duomo dal suo contesto, giocare con la luce nella chiesa di Santa Maria Alemanna e al Sacrario di Cristo Re per spiazzare l’osservatore, rivelando, svelando la realtà che si dipana, svogliata, ai nostri occhi quotidianamente. Alzare lo sguardo dalle miserie, planando su una bellezza evidente eppure misconosciuta.
Ferla conduce un viaggio nel territorio – nel recente passato ha realizzato le fotografie del Comune di Palermo, assessorato alla Cultura, per la mostra “Palermo arabo-normanna, le Cattedrali di Cefalù e Monreale, Candidate per l’iscrizione nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco” – con l’obiettivo di smentire i disfattisti e valorizzare la bellezza: «Sono un uomo positivo, non sopporto chi sventola il vessillo delle lamentele ad ogni costo. Messina, la Sicilia, ripartiranno grazie all’amore di chi non è voluto andare via».
Durante il workshop ha dichiarato ai trenta fotografi presenti che «le immagini hanno una potenza violenta». Cosa intende?
«Lo ribadisco perché è un mio cavallo di battaglia. Un’immagine ha il potere di entrare con forza nella mente delle persone. Tutti noi siamo bombardati da immagini sin dalla nascita, per tale motivo una fotografia di architettura trasfigurata è una violenza visuale, un gesto di forza che impatta con l’osservatore».
Eppure lei non si definisce fotografo.
«No, non lo sono. Rispetto la disciplina fotografica ma nel momento in cui altero lo spazio in maniera drammatica, mi trovo in un altro ambito, fra la grafica, l’arte digitale e il concept design. La fotografia ha un’aderenza necessaria all’oggetto, io me ne sono distaccato e non rappresento ciò che vedono i miei occhi».
Cosa l’ha spinta sino a questa astrazione?
«Mi sono scocciato di sentire le persone lamentarsi delle brutture che deturpano le città. La Valle dei Templi è stupenda ma la vista dei palazzi intorno dà fastidio? Li ho tolti, cancellando l’abuso edilizio. E così facendo ciò che rimane è la bellezza».
Parliamo di Messina. Le piace?
«Molti messinesi mi avevano messo in guardia dal fatto che qui non ci fosse nulla di bello…».
Dunque?
«Non sopporto il piagnisteo. Sono quasi rimasto deluso di aver trovato tante cose belle, credevo di dover escogitare grandi manovre per valorizzare l’architettura e invece, gira vota e furria, ci sono tante cose notevoli. Messina è un posto complesso che deve essere raccontato. Il pessimismo cosmico si può sconfiggere solo grazie a voi, del resto questo workshop nasce sul territorio, grazie all’Associazione culturale Art Revolution con l'Ordine degli architetti P.P.C. della Provincia di Messina».
Come mai non ci sono immagini di Messina?
«È un dato di fatto oggettivo. Di questa città ci sono poche immagini, ad eccezione del mare e dello Stretto. Il terremoto è un trauma che non è stato ancora metabolizzato e mediante le poche immagini disponibili si tende a raccontare solo il territorio, la spiaggia e il mare, esulando dall’azione dell’uomo. Proprio come in un trauma i messinesi sembrano voler dimenticare la città per non rivivere un grande dolore».
Nel recente passato lei ha realizzato un concept art condiviso da molti artisti contro le trivellazioni a largo delle coste siciliane.
«È il frutto di una delusione politica. Non sono un anticapitalista ma ho sempre pensato che la sinistra dovesse tutelare il territorio anziché sfruttarlo. Ho ideato una serie di immagini che simulassero le devastazioni del territorio, contestando una certa idea di sviluppo: davvero in Sicilia non possiamo fare a meno di andare a caccia del petrolio a scapito del nostro mare?».
I lavori del workshop si concluderanno oggi con una lectio magistralis aperta alla cittadinanza alle 15.30 nel Salone delle Bandiere del comune di Messina. Di cosa parlerà?
«Avrei voluto parlare del mio lavoro. Ma ho cambiato idea e parlerò delle energie positive che ci sono in questa città. Si riparte da qui, non ho dubbi».
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