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Genovese junior: «Creiamo amicizie, quindi consensi»

Genovese junior: «Creiamo amicizie, quindi consensi»

I corridoi del “lab” (guai a chiamarla segreteria), sono tinteggiati di bianco e blu. I colori di Forza Italia. E sulle pareti sono appesi quadri con le citazioni più disparate: da Papa Francesco a Erasmo da Rotterdam passando da Steve Jobs. Perché nulla, quando ti chiami Genovese, può essere lasciato a caso. E lui, Luigi Genovese, il più giovane parlamentare dell’Ars a soli 21 anni, erede designato di una delle più potenti e discusse macchine elettorali siciliane, lo sa bene. Così anche le parole di Matteo Renzi («sono orgoglioso di non avere più Genovese nel Pd e di avere, piuttosto, il figlio di Pio La Torre») sembrano scivolargli addosso: «Renzi? Sarebbe meglio che cominciasse a lavorare per il congresso, piuttosto che pensare a Genovese. Visto che mi sembra in discrete difficoltà».

A proposito delle difficoltà del Pd, ma anche della bocciatura di quasi tutti gli uscenti, che idea si è fatto di questi risultati elettorali?

«Emerge la voglia di cambiare rotta. Non mi sento di dire che io sia una novità assoluta, anche se in parte questa candidatura lo è. Perché si sta coinvolgendo una generazione fin qui sempre esclusa dalla politica. Il mio risultato elettorale è sì frutto di una struttura esistente, ma anche di un lavoro importante, che è giovanile ed è innovativo. Di totale rottura. Il grande risultato è un premio a questo nuovo modo di vedere la politica».

Che differenza c’è tra i 18 mila voti di suo zio Rinaldi di 5 anni fa e i suoi 17 mila di oggi? Con tutto ciò che c’è stato nel mezzo.

«Quando ci sono delle elezioni però si parte da zero, non c’è un collegamento tra i 18 mila voti e i 17 mila di oggi, considerando anche che siamo in un nuovo partito, Forza Italia, che io ho sempre apprezzato, anche in tempi non sospetti».

Lei ritiene credibile il messaggio per cui un ragazzo con questo cognome, al di là dell’età, parta davvero da zero come chiunque altro?

«In questo caso non ho ereditato semplicemente una poltrona, ma una passione. E una rete di rapporti nata perché a noi piace creare amicizie, e non altro come si tende a pensare. Conosco bene gli amici di mio padre e a questi si aggiungono i miei. Per questo riusciamo con facilità ad avere un certo consenso. E la dimostrazione sta nel fatto che nonostante le vicende di questi anni, i rapporti di amicizia sono rimasti».

Ecco, le vicende di questi anni. In quella fase così particolare, con suo padre in carcere, immaginava di scendere in campo in prima persona per portare avanti un progetto politico?

«Quest’idea l’ho avuta sempre. Non mi sento di commentare le vicende giudiziarie, mi preme sottolineare solo che c’è una condanna senza motivazione e che la vicenda giudiziaria è slegata dalla mia persona. In quella fase mi confrontavo col mondo difficile della carcerazione preventiva, a mio modo di vedere ingiusta per certi tipi di reati, ma non sono rimasto con le mani in mano. Nel momento in cui mio padre non poteva fare politica, io stesso cercavo di dare supporto e spiegazioni alle persone a noi vicine. È qui la prosecuzione di un percorso».

Al di là del folklore della convention al Palacultura, Miccichè disse sul palco una frase, fra tante: “se non avessero fatto a tuo padre ciò che hanno fatto, tu non saresti qui”. Detta al bar è un conto, da un leader politico...

«Credo sia stata detta senza pensarci. Questa scelta è stata presa innanzitutto da me, ma soprattutto non da un giorno all’altro o per i processi. Fare politica era il mio sogno».

Invece non l’abbiamo mai vista con Musumeci accanto. Anzi, spesso lo stesso Musumeci sembrava voler prendere le distanze da questa candidatura, come da altre.

«Credo fosse una distanza giusta. La stampa ci ha marciato su, stare accanto avrebbe alimentato le polemiche».

Dai voti Musumeci non ha certo preso le distanze. Anzi, come cinque anni fa con Crocetta, Messina ha contribuito in modo determinante.

«E siccome Musumeci è una brava persona che rispetta i patti, sono certo che ne terrà conto e terrà conto dei messinesi».

Cosa significa passare, in pochi mesi, dalla vita studentesca a questo tipo di pressione mediatica?

«Non la vedo come una pressione, ma come uno stimolo. Ho la possibilità di dire cosa penso, di dimostrare di non essere figlio di qualcuno ma me stesso».

Ci sono momenti in cui vorrebbe semplicemente vivere la “normalità” dei 21 anni?

«Ho la possibilità di farlo, ma ho desiderato di vivere questa esperienza, in cui il giorno dopo è sempre troppo tardi per fare campagna elettorale».

Non c’è il rischio di crescere troppo in fretta?

«Altre vicende mi hanno fatto crescere troppo in fretta».

Tre cose che ha in mente di fare nei primi mesi all’Ars.

«Prima cosa, istituire il question time all’Ars. Non c’è la garanzia che un assessore risponda in tempi rapidi ai deputati. Seconda, i consigli comunali dei giovani. Esistono già altrove, nel Lazio ad esempio. Con competenza esclusiva sulle questioni giovanili e piccoli finanziamenti destinati. Terza, portare l’innovazione digitale all’interno dell’Ars e soprattutto della macchina comunale».

I giovani, appunto. E la partecipazione. La sua area politica, è stata protagonista di una trasmigrazione di massa da un partito all’altro. Non crede che questi cambi di casacca contribuiscano e non poco ad allontanare i giovani e la gente dalla politica?

«Pd e Forza Italia sono due partiti moderati. Oggi parlare di destra e sinistra è complicato, si può parlare al massimo di “macro-aree di ideologie”. Poi ci sono tematiche che il Pd affronta, ma poi non vengono rispettate, come il garantismo. Ed è stato uno dei motivi principali che ha spinto a passare in massa da un partito all’altro una classe politica, non un uomo. Fu il partito ad invitare mio padre ad andare via dal partito. A parte questo, certo, incidono i cambi di casacca ad allontanare le persone della politica. Ma incide di più che l’antipolitica faccia vedere solo ciò che di brutto c’è nella politica. Ed è quello che fanno i Cinquestelle, che ormai sono politici di professione. Sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e fare una politica seria».

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