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La speranza a chi ha perso tutto nel terremoto

DICIOTTO GIOVANI SEMINARISTI MESSINESI NEI LUOGHI DELLE MARCHE DURAMENTE COLPITI DAL DEVASTANTE SISMA DI UN ANNO FA

La speranza a chi ha perso tutto nel terremoto

«Ogni vita che salvi, ogni pietra che poggi, fa pensare a domani, ma puoi farlo solo oggi». Non è il ritornello dell’ultimo tormentone estivo, ma il leitmotiv che ha accompagnato le vacanze speciali di 18 giovani seminaristi messinesi. La meta? Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, Monte Gallo, Castel di Lama, Ripaberarda, Venarotta, Folignano, posti speciali dove, appena un anno fa, un terribile sisma distrusse vite, abitazioni, chiese, monumenti, ma dove ancora batte forte il cuore di chi non ha voluto allontanarsi dalla propria terra.

Samuele Le Donne, Alessandro Scarfo, Antonio Calandra, Nino Morabito, Roberto Merlino, Gianfranco Pistorino, Alessandro Caminiti, Fabio Berbiglia, Nino Di Vincenzo, Nicola Antonuccio, Gianluca Monte, Carmelo Mazzei, Francesco Giaconne, Lino Rinaldi, Justin Mangombi, Gianmarco Restuccia, Giuseppe Rinaldi e Alessandro D’Angelo sono i ragazzi che, aderendo al progetto nazionale “Il laboratorio della speranza”, hanno realizzato attività di animazione pastorale con bambini, giovani e anziani, assistenza spirituale ai volontari e collaborazione pe il ripristino di alcune strutture nei luoghi colpiti dal sisma della diocesi di Ascoli Piceno. Dal racconto di quattro di loro, traspare tanta speranza quella che dicono di aver visto, nonostante tutto, negli occhi di quella gente.

Qui tutto è diverso rispetto a un anno fa. Gli anziani vivono il ricordo delle ultime certezze ormai perse, gli adulti l’enorme disagio di doversi rimboccare le maniche per ricostruire un futuro ai loro figli, i giovani e soprattutto i bambini sognano e vogliono voltare pagina, ma hanno ancora le mani e il cuore graffiato dai resti delle macerie. I maschietti non giocano a guardie e ladri e le femminucce non accudiscono le bambole come piccole mammine, lì si gioca al terremoto, simulando e provando a mettersi in salvo dai crolli come fosse un’esercitazione della Protezione civile. Alcuni genitori e insegnanti raccontano che i loro figli scappano appena il banco di scuola trema perché un compagno cancella con la gomma sul foglio. Qui i quartieri hanno un volto nuovo, essenziale. I prefabbricati accolgono gli uffici, alcuni container che i ragazzi stessi in quelle settimane hanno provveduto a risistemare, sono le nuove ludoteche o gli spazi di ritrovo per gli adulti. Qui, anche il modo di vivere la fede è cambiato e i sacerdoti devono impegnarsi molto per restituire a questa gente la certezza che, malgrado tutto, il Signore non li ha mai abbandonati.

«Nonostante il disagio - raccontano Nino e Gianfranco - i loro occhi sono ancora accesi - vogliono condividere la vita, vogliono sorridere ancora». Noi che eravamo partiti per un impegno formativo pensando di dare qualcosa, siamo tornati a casa arricchiti». Le giornate dei seminaristi, insieme ai volontari sono trascorse intensamente, tra giochi di gruppo in spiaggia e attività sportive, ma anche momenti di riflessione, dialogo e naturalmente di preghiera. Ogni sera c’era poi il momento della verifica con i volontari e l’equipe degli educatori. Per i nostri ragazzi, alcuni dei quali aveva già vissuto esperienze di oratorio e grest estivi, questa è stata diversa. «Quando tornerete? Ci vedremo ancora?». Sono queste le domande che rivolgevano a molti di loro, raccontano Antonio e Samuele. «I bambini e i ragazzi si sono affezionati subito a noi, volevano essere ascoltati. Vivono anche in dieci in una casa dopo il crollo o comunque l’inagibilità delle loro e il dramma del sisma ha amplificato le difficoltà della quotidianità, legata spesso a incomprensioni con i genitori o situazioni di disagio adolescenziale». Alcuni di loro, addirittura, sono già venuti in Sicilia dopo il campo scuola, a trovare il seminarista Nino. E per il futuro? Mons. Di Pietro, soddisfatto di questa esperienza, auspica che anche il prossimo anno possa ripetersi. «La Chiesa è comunione - afferma - ed è importante offrire vicinanza affettiva oltre che materiale, per sentirsi parte di un’unica famiglia».

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