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Il nuovo Museo restituisce identità e orgoglio a Messina

Il nuovo Museo restituisce identità e orgoglio a Messina

Il blu del Medioevo. Il verde e il giallo del Rinascimento, alle origini e al suo massimo splendore. Il rosso del Manierismo. E poi il bruno del periodo caravaggesco. Il viola del Seicento, l’arancione del Settecento, il rosa dell’Ottocento. Sono i colori del Mu-Me, il Museo dell’identità ritrovata. Un percorso che, in realtà, parte dalle origini millenarie di Zancle, che arriva alla data spartiacque del 28 dicembre 1908 e che si proietta nel futuro, come spazio di contaminazione tra vecchie e nuove generazioni, come laboratorio di cittadinanza per i messinesi che verranno.

Dopo l’anteprima riservata ai giornalisti, ieri anche il pubblico delle grandi occasioni ha potuto prendere parte a quello che a molti è sembrato un momento di catarsi collettiva, quasi un rito di purificazione dopo i decenni di attesa, dopo i troppi peccati di omissione. Quello inaugurato ieri a Messina è uno dei Poli museali più importanti del Meridione, sicuramente in grado di competere anche a livello nazionale ed europeo. Ci sono i capolavori assoluti – Caravaggio e Antonello da Messina – ma c’è soprattutto, in quell’affascinante labirinto che si snoda attraverso i secoli, il filo di Arianna, quello che forse è mancato finora alla città dello Stretto, il “fil rouge” che mescola identità, orgoglio d’appartenenza e consapevolezza di essere parte integrante di un susseguirsi di vicende, ora liete ora tragiche, che qui, in uno dei più importanti crocevia del Mediterraneo, si fanno Storia.

Lo sapevamo già, noi messinesi, di avere a casa opere come la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei Pastori firmate dal Caravaggio (entrambe del 1609) o come il Polittico di San Gregorio dell’artista che porta abbinato al suo il nome di Messina, il grande Antonello, al quale è stata attribuita anche la preziosissima tavoletta bifronte con la Madonna benedicente e un francescano in adorazione (acquistata dalla Regione siciliana all’asta londinese, dopo la campagna di stampa condotta dalla Gazzetta del Sud). Ma oggi, vedendo quelle opere inserite nel nuovo contesto, è come se le avessimo scoperte per la prima volta. Oggi Caravaggio e i caravaggeschi non sono decontestualizzati, ma rappresentano le pietre miliari di quel secolo, il Seicento, che vedeva Messina al centro di traffici provenienti da tutto il pianeta. E lo stesso vale per il Quattrocentro antonelliano. E in questo viaggio che porta il mondo sulle rive dello Stretto e che proietta lo Stretto sui più suggestivi scenari delle varie epoche che si rincorrono da un secolo all’altro, fanno la loro bellissima figura anche gli artisti locali, rivalutati e ancor più da rivalutare, figli di un fermento culturale che non a caso ha fatto di Messina, a più riprese, la “capitale” dell’Isola. Una Messina che adesso, come annunciato ieri dall’assessore Federico Alagna, vuole candidarsi a capitale della Cultura per il 2020.

Non c’è spazio per i tormenti, i rimorsi, i rimpianti. La storia della costruzione del nuovo Museo regionale è stata emblematica, ha riassunto in se i lati migliori e peggiori del settore delle opere pubbliche in Sicilia e in Italia. Sembrava una tela di Penelope, fatta proprio per essere disfatta. Ma alla fine, come ha ricordato ieri il ministro Angelino Alfano che ha tagliato il nastro, assieme al presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, al presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, all’assessore ai Beni culturali, il messinese Carlo Vermiglio, alla direttrice del Mu-Me Caterina Di Giacomo e al sindaco Renato Accorinti, la tenacia ha vinto sulla rassegnazione. E oggi Messina può tornare a essere orgogliosa di se stessa.

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