È l’atroce sapore di beffa che non viene giù. Per digerirlo ci vorrebbe un miracoloso farmaco di protezione dalla gastrite collettiva che notizie come quelle arrivate da Roma provocano inevitabilmente su chi popola le rive dello Stretto. Dopo aver speso finora circa 600 milioni di euro per il “fantasma” del Ponte, ora il Governo nazionale, con il nuovo Piano infrastrutture preannunziato dal Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri, azzera tutto e ricomincia con l’incarico per un nuovo studio di fattibilità sulle possibili opzioni di collegamento «stabile e non stabile» (quest’ultimo passaggio è davvero il capolavoro assoluto di quest’opera da teatro dell’assurdo). Ed è una beffa che si aggiunge all’ulteriore danno, oltre a quelli giù subiti, cioè il fatto che neppure un’infrastruttura strategica sia prevista da Salerno in giù e che l’Alta velocità ferroviaria è un lusso che solo metà del Paese, quella del Centro-Nord, può consentirsi.
Dal nostro territorio si levano reazioni negative, anche dure per certi aspetti, ma non è quel coro d’indignazione e di rivolta popolare che in altre realtà invece sarebbe scattato immediatamente. Qui le barricate, reali e metaforiche, non le fa nessuno o quasi.
I sindacati
«Il ministro Delrio – sottolinea il segretario generale della Cgil Giovanni Mastroeni – solo pochi giorni fa è venuto in riva allo Stretto a parlare di progetti e sviluppo ma oggi si prende sempre più atto che si continua a investire solo a latitudini più lontane. Davanti ad un gap che aumenta registriamo ancora come su questioni fondamentali quali trasporti e infrastrutture che hanno fortemente condizionato ogni prospettiva economica e dalle quali dipende il futuro del territorio messinese come di quello siciliano l’attenzione sia rivolta ad altre parti del Paese. Ribadiamo come senza un moderno sistema di trasporti la Sicilia e l’Area dello Stretto non hanno alcuna possibilità di invertire il declino che ha caratterizzato questi decenni». Rincara la dose il segretario generale della Uil Ivan Tripodi: «Il Documento economico-finanziario approvato dal governo Gentiloni rappresenta un pesante sfregio e un'offesa indelebile nei confronti della Città metropolitana di Messina. Infatti, come avevamo ampiamente annunciato e al netto delle promesse e delle passerelle pre-elettorali, il Def certifica l'assoluta mancanza della benché minima attenzione nei riguardi di Messina e, più complessivamente, del Sud. Infatti, basti pensare che su ben 119 opere strategiche previste nel Def la stragrande maggioranza sono ubicate nel centro-nord del Paese. Insomma, un Documento dal chiaro sapore contro il Mezzogiorno. Questa vicenda, accanto alle indecenti scelte anti-meridionali del governo Gentiloni, evidenzia l'assoluta inconsistenza e la totale mancanza di credibilità dei rappresentanti istituzionali e politici del nostro martoriato territorio. Pertanto, si rende necessario, da parte del sindacato, aprire una grande vertenza finalizzata, sic te simpliciter, alla salvezza di Messina e della sua provincia che vive un tracollo economico-sociale provocato dalla totale mancanza di investimenti e di prospettive di lavoro. Faremo, quindi, la nostra parte fino in fondo».
CapitaleMessina
«Dopo aver letto sul quotidiano cittadino le considerazioni, tutte condivisibili, sul tema della disparità negli investimenti in infrastrutture tra il Sud ed il resto d'Italia, sentiamo l'esigenza di porre un quesito e di esprimere qualche preoccupazione». A intervenire sono i rappresentanti del movimento CapitaleMessina. «Il tema, ancora una volta, è quello dell'Autorità portuale – scrivono il presidente Pino Falzea e il portavoce Gianfranco Salmeri –. Noi, come è noto, abbiamo sempre espresso contrarietà al disegno governativo di accorpamento con Gioia Tauro. Coloro i quali, invece, hanno propugnato l'accorpamento, basano la propria fede nelle "magnifiche sorti e progressive" della futura Autorità di sistema portuale calabro-siciliana, confidando sullo sviluppo del porto di Gioia, che grazie all'arrivo della rete ferroviaria ad alta capacità, dovrebbe assumere un ruolo strategico di hub logistico per le merci. In pratica da porto improduttivo transhipment, quale è attualmente, diventerebbe, grazie al collegamento ferroviario un porto gateway di importanza strategica. Ma dalla lettura dell'allegato Infrastrutture del recente Def, nel quale sono descritte le 119 opere strategiche per un importo di 35 miliardi, si osserva che la maggior parte di esse, come sottolinea la Gazzetta del Sud, sono localizzate nel Centro-Nord, mentre invece sotto l'asse Napoli-Bari c'è il deserto: niente Ponte, ma non c'è neanche traccia del collegamento ferrato ad Alta Velocità-Alta Capacità Salerno- Reggio Calabria. Ed allora la domanda che sorge spontanea è: senza collegamenti veloci come farà Gioia Tauro a diventare porto gateway? Non lo potrà diventare, è ovviamente la risposta. E quindi viene meno il presupposto fondamentale per lo sviluppo di quella struttura, che sta alla base del ragionamento dei fautori dell’accorpamento. Noi abbiamo il timore, ed alla luce di quanto appena detto appare sempre più fondato, che alla fine il ruolo dei porti messinesi sarà solo quello di “bancomat” per colmare il grave deficit economico strutturale del porto di Gioia».
Garofalo (deputato AP)
«Non è più tempo degli studi ma quello dei fatti – dichiara il deputato nazionale Enzo Garofalo di Alternativa Popolare –, esistono progetti che attendono di essere tramutati in opere. Ci sono proposte interessanti che si basano su studi approfonditi già effettuati e che consentirebbero di fare le scelte più opportune. Da tempo sostengo, e non sono l'unico, la necessità di recuperare il tempo perduto per realizzare tutte quelle infrastrutture che renderebbero competitivo il territorio, al passo con il resto del Paese. Il Mezzogiorno necessita di Alta velocità ferroviaria, di aree per la logistica, di aeroporti efficienti, di tutto ciò che renda il territorio attrattivo per i giovani, i turisti, le imprese e che offra ai residenti, che sono contribuenti alla stessa stregua di tutti gli altri italiani, le stesse opportunità offerte nel resto d'Italia.
Il Governo abbia il coraggio di fare le scelte che gli competono e non prenda ulteriore tempo. Ci sono aziende interamente pubbliche in grado di offrire un contributo all'ammodernamento delle infrastrutture e sono: Ferrovie dello Stato e Anas. Si affidi a loro il compito di verificare la fattibilità economica del Ponte sullo Stretto. Questo sarebbe un segnale di interesse concreto verso il Meridione da dare al Paese. A costo zero. Il resto sono chiacchiere e tentativi dilatori ormai non più tollerabili».
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