C’è recital e recital, certo; ma proprio in questa formula, superficiale e forse anche abusata se volete, vengono fuori la bravura e la sensibilità del protagonista, che legge, interpreta, asseconda autori, raccontandoci - attraverso pagine, ambientazioni e scritture profondamente diverse - un po’ della propria storia.
Nelle scelte che fa e soprattutto nel modo in cui dà vita, ricreandoli, a quegli stralci narrativi e poetici.
Magari con il contributo di musicisti che ti danno modo di rifiatare e bere un sorso d’acqua, eseguendo pagine d’effetto che si alternino alla lettura oppure che si incastrino e sovrappongano al filo del racconto, amplificandone l’effetto e la valenza con la potenza e l’efficacia che solo la musica sa trovare.
E in “Sud”, fino a domani al “Vittorio Emanuele”, viene fuori il vero Sergio Rubini, con la sua terra d’origine - la Puglia - e la nostalgia per il passato, in particolare gli anni Settanta, che questo spettacolo intende ricordare.
Sorridiamo e palpitiamo dal primo all’ultimo dei 90 minuti, dalla forza poetica ed espressiva delle parole di Matteo Salvatore alla “Guerra dei cafoni” di Carlo D’Amicis, dal “De Pretore Vincenzo” di Eduardo ai toni epici dei “Persiani” di Eschilo fino ai versi in vernacolo di un poeta pressoché sconosciuto del suo paese, Giacomo D’Angelo, la cui poesia scritta nel proprio negozio di giocattoli e dedicata ai soprannomi diffusi a Grumo Appula diventa, grazie anche alla musica composta da Michele Fazio (compaesano di Rubini e D’Angelo) eseguita dal vivo, una specie di divertente non-sense, di indecifrabile scioglilingua, di gioco ardito di fonemi e note di ineludibile effetto.
Bravissimo, Rubini, ad accompagnarci in questo viaggio rimanendo se stesso e interpretando quelle pagine con il trasporto misurato eppure sempre presente di chi quegli umori (fatti di grandezza e rassegnazione, di orgoglio e di miseria, di incomparabile bellezza e di brucianti contraddizioni) e quegli odori li conosce bene, essendoci nato e cresciuto.
Convincente e coinvolgente, l’attore - lanciato da Fellini ne L’intervista e pluripremiato per La stazione, che segnò il suo esordio alla regia - dà un saggio (l’ennesimo) delle sue immense doti rendendoci il tutto avvincente e di straordinario fascino.
Grazie anche all’apporto, che diremmo quasi decisivo e comunque fondamentale nell’economia della riuscita dello spettacolo, del trio che si esibisce con lui, formato dal già citato Michele Fazio al pianoforte (l’autore delle interessanti musiche che avvolgono le parole di urgente attualità) e di Marco Loddo al contrabbasso e di Emanuele Smimmo alla batteria. Da applausi.
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