Nella città che si vanta di aver dato i natali a Shakespeare-Crollalanza, si potrebbe aprire e chiudere il commento alla giornata campale di ieri con un “tanto rumore per nulla”. Solitamente, quando si arriva a un atto politicamente grave quale la mozione di sfiducia nei confronti di un sindaco e della sua Amministrazione, si dovrebbe avere la certezza del risultato finale. Come in teoria avrebbe dovuto essere l’esito in un consiglio comunale dove la pattuglia che sostiene il primo cittadino è composta da soli quattro elementi e tutti gli altri 36 fanno parte di gruppi, liste e partiti che nelle elezioni del 2013 erano contrapposte a Renato Accorinti. Ma la politica, si sa, pur fondandosi sui numeri, non è mai una scienza esatta.
Alla fine hanno vinto defezioni e repentine marce indietro, frutto dell’assenza di un progetto condiviso da parte di quelle forze politiche che si sono presentate in ordine sparso all’appuntamento decisivo. E Accorinti ha avuto buon gioco nell’apparire come un Cesare che ha resistito alla “congiura dei Bruti”.
In verità, quello di ieri è stato comunque un esercizio di democrazia. Ci si è scontrati e confrontati e molti consiglieri hanno davvero agito di testa propria, al di là delle indicazioni o dei veri propri diktat dei partiti e leader di riferimento. Il caso più eclatante è quello del Partito democratico. È buffa, se non tragicomica, la storia del Pd messinese, cominciata con le primissime dichiarazioni del commissario Ernesto Carbone («Pieno sostegno alla giunta Accorinti»), proseguita con un’opposizione dura e intransigente, culminata nella coerente presa di posizione della capogruppo Antonella Russo, la quale è stata decisiva per aver posto l’ultima firma utile alla mozione da presentare in Aula. Ma ieri sera Antonella Russo si è ritrovata isolata, gli altri tre consiglieri del suo gruppo si sono clamorosamente dissociati dall’ordine del partito e con loro anche altri autorevoli esponenti del “nuovo Pd”, come il presidente del IV Quartiere Francesco Palano Quero leader, assieme ad Alessandro Russo, dei cosiddetti “renziani della prima ora”. Anche in Forza Italia, alla fine, il capogruppo Pippo Trischitta è rimasto col cerino in mano mentre i suoi colleghi “genovesiani” hanno scelto la strada dell’astensione.
Accorinti, dunque, ha vinto? Sì, ma è caduto anche l’ultimo alibi. È il sindaco, non un “martire”, e adesso deve completare il mandato. È suo diritto farlo ed è suo dovere dare risposte alla città, prima di ripresentarsi al giudizio degli elettori.
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