La relazione semestrale della Dia presentata nei giorni scorsi dal ministero degli Interni alla Camera dei deputati evidenzia la costante “contaminazione criminale” di Cosa nostra palermitana, catanese e della ‘ndrangheta sulla provincia di Messina. Cosche capaci di sfruttare la «particolare esposizione geografica» mescolandosi e traendo profitti da accordi con gruppi locali. Le recenti dinamiche, secondo la Dia, non hanno condizionato le convenzionali sfere di influenza dei singoli clan territoriali, sia con riferimento al capoluogo che ai centri dell'hinterland metropolitano. Le indagini hanno confermato come le associazioni criminali continuino a trarre linfa vitale da estorsioni e traffico di stupefacenti, «attività che concorrono a geolocalizzare gli ambiti di competenza e a rendere più chiare le alleanze in atto, specie quelle finalizzate all’approvvigionamento della droga». Con riferimento a quest’ambito, elementi di spicco del clan Mangialupi, insieme ad esponenti anche di vertice dei “Tortoriciani”, sono stati destinatari di custodia cautelare nell’operazione “Senza tregua”, conclusa a maggio. L’indagine ha permesso di rendere noti gli interessi dell'asse dedito alle estorsioni, ribadendo l'esistenza di rapporti tra le consorterie del capoluogo e la ‘ndrina Nirta-Stangio di San Luca (Reggio Calabria). Accanto alle “tradizionali” attività illecite, cui si aggiunge certamente l’usura, i settori di interesse sui cui la criminalità messinese punta sono oggi principalmente rappresentati dagli appalti, dall’edilizia, dai servizi, dallo smaltimento dei rifiuti e dagli esercizi commerciali: un'autentica vocazione imprenditoriale su base illegale.
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