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Buzzanca e Briguglio colpevoli di «inazione»

Buzzanca e Briguglio colpevoli di «inazione»

I due sindaci furono soprattutto colpevoli di «inazione» di fronte ad alcuni indicatori fattuali incontrovertibili, ma non legati all’allerta della Protezione Civile, bensì ai “segnali” allarmati che ricevettero sin dal primo pomeriggio, per esempio alcune telefonate.

E non disposero l’evacuazione delle zone a rischio, una misura così “semplice” eppure così fondamentale, prevista nei loro piani d’intervento, non aprirono un «canale informativo con la cittadinanza» anche attraverso una “banale” auto dei vigili urbani munita di altoparlante.

Per tutti gli altri imputati, seppur con una diversa graduazione di negligenze o omissioni, non è emerso nel corso del processo un nesso eziologico, cioé un nesso di causa-effetto, tra quanto fecero o “non fecero”, e quei poveri trentasette morti.

È lunga ben 287 pagine la sentenza che il giudice monocratico Massimiliano Micali ha finito di scrivere, e che spiega il suo ragionamento complessivo delle decisioni assunte ad aprile scorso dopo due anni di udienze, quando per la più grande tragedia della nostra storia recente, l’alluvione del 1. ottobre 2009, chiuse il primo grado processuale con due condanne e ben tredici assoluzioni. Un verdetto profondamente diverso da quanto aveva richiesto la Procura. E adesso, le motivazioni depositate, sono molto complesse. Eccone una sintesi in questa pagina.

I due sindaci

Un primo passaggio che riguarda gli ex sindaci Buzzanca e Briguglio, gli unici due ad essere condannati: «Può apparire finanche banale evidenziare che l’evento de quo non si sarebbe verificato se i due imputati, riconosciuta quale potenzialità offensiva fosse sottesa alla situazione palesatasi nel pomeriggio dell’1 ottobre 2009, avessero deciso di fronteggiarla mettendo in moto quanto previsto nei rispettivi piani comunali di protezione civile o, comunque, orientando le proprie determinazioni alle sovrapponibili “raccomandazioni” scritte elaborate dal Dipartimento Regionale della Protezione Civile».

In primo luogo – scrive il giudice – avrebbero dovuto evacuare le zone a rischio, ma non lo fecero, e non disposero la chiusura immediata delle varie strade nella zona sud, così come invece fece il Cas sulla tangenziale.

Ecco il passaggio-chiave finale, dopo tante pagine di approfondimenti: «... le considerazioni sin qui spese impongono, quale necessitato corollario, l’affermazione della penale responsabilità di Briguglio Mario e Buzzanca Giuseppe, poiché nell’inazione della quale costoro, quali Autorità Comunali di Protezioni Civile, si sono resi protagonisti nelle ore pomeridiane dell’1 ottobre 2009 risultano appieno ravvisabili tutti gli estremi, materiale e soggettivo, del delitto loro rispettivamente ascritto contestato ai capi a) e c) della rubrica». (Si tratta di quei poveri trentasette morti, quindi il reato è di omicidio colposo, n.d.r.).

Nelle motivazioni della sentenza, che nella prima parte esamina una per una le vicende che hanno portato alla morte delle trentasette vittime - ed è veramente, ancora una volta, drammatico e straziante vedere quei nomi uno dietro l’altro in un atto giudiziario - vengono poi prese in considerazione le singole posizioni degli altri imputati, che avevano ruoli operativi e ruoli tecnici.

La posizione indubbiamente più importante è quella dell’allora capo della Protezione Civile regionale, Salvatore Cocina, che ad aprile è stato assolto con formula piena. Ecco perché: «... se il Cocina non era tenuto a “prevedere” le opere in questione (questo è il verbo che viene espressamente utilizzato nel capo di imputazione), l’omissione che questi sul punto ha apposto è priva di ogni disvalore penale e non può, pertanto, porsi a fondamento di un percorso ermeneutico che conduca all’affermazione della sua penale responsabilità. Nessuno può essere chiamato a rispondere di un’omissione se alla corrispondente azione positiva egli non era obbligato».

In pratica il giudice scrive che - semplificando -, sulla scorta dei poteri che realmente aveva nel suo ruolo, avrebbe potuto fare ben poco con l’azione amministrativa precedente l’alluvione, per evitare il dramma.

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L’avviso n. 168

Una parte della sentenza è dedicata alla disamina, e alla valenza dal punto di vista giuridico, dell’avviso di Protezione Civile n. 168 che venne diramato per fax dalla Prefettura nel pomeriggio del 1. ottobre 2009. Un avviso che - ha dimostrato il processo - non aveva «una previsione connotata di speciale allarme». Ma la tragedia nella tragedia è un’altra, ovvero non il contenuto. E cioé che sia al Comune di Messina, sia a quello di Scaletta, quel fax lo guardarono concretamente solo la mattina dopo.

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Furono inflitti sei anni agli ex primi cittadini di Messina e Scaletta

Ad aprile due sole condanne e tredici assoluzioni

Il dispositivo di sentenza venne letto in aula il 27 aprile scorso dal giudice monocratico Massimiliano Micali a conclusione del processo di primo grado sull’alluvione del 2009 di Giampilieri, Scaletta, Briga, Molino ed Altolia.

Due sole condanne, pesanti, per i sindaci dell’epoca di Messina e Scaletta, Giuseppe Buzzanca e Mario Briguglio, ovvero i vertici amministrativi, entrambi a 6 anni di reclusione.

Poi tutti gli altri tredici imputati, tra ex amministratori locali, funzionari di protezione civile e tecnici, furono “clamorosamente” assolti da tutte le imputazioni che la Procura aveva contestato sin dall’inizio e che aveva anche integrato nel corso del procedimento.

Insomma in sentenza si delineò un quadro ben diverso da quello che aveva prospettato l’accusa ad ottobre del 2015, avanzando la richiesta di quindici condanne molto pesanti, tra i 5 e i 10 anni e mezzo di reclusione.

La sentenza ebbe anche profili molto diversi rispetto alle attese per quanto riguardava i risarcimenti, che vennero concessi solo ai familiari di quei trentasette morti e non per chi rimase ferito o subì danni a cose. Per loro, erano quasi 170, non ci fu alcun ristoro economico.

Così come non registrarono risarcimenti le parti civili Wwf Italia e Legambiente. Fu di oltre cinque milioni di euro invece la somma che riguardò i risarcimenti immediati per i familiari delle vittime, che venne fatta ricadere dal giudice, così come il risarcimento definitivo del futuro processo civile, tra i due imputati condannati e i responsabili civili, ovvero i Comuni di Messina e Scaletta, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Dipartimento della Protezione civile.

Ecco quella che potremmo definire la linea di demarcazione tra le pieghe della sentenza rispetto alle imputazioni iniziali: per l’omicidio colposo plurimo, la condanna ci fu, ma per il disastro colposo no, perché secondo il giudice Micali non si poteva prevedere tutto quello che successe; e siccome i risarcimenti per le lesioni erano in qualche modo ancorati al reato di disastro colposo, “cadendo” quello “caddero” anche i conseguenti ristori economici.

Ad aprile scorso il giudice monocratico Massimiliano Micali condannò a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo l’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e l’ex sindaco di Scaletta Zanclea Mario Briguglio. Come pena accessoria il giudice decise l’interdizione dai pubblici uffici per tre anni. Gli ex sindaci Buzzanca e Briguglio furono invece assolti dall’accusa di disastro colposo plurimo con la formula «perché il fatto non sussiste».

Per tutte le altre imputazioni che erano state impostate dalla Procura, quindi sia per l’omicidio colposo sia per il disastro colposo plurimi, e anche per le lesioni, furono assolti tutti gli altri imputati: Salvatore Cocina, ex dirigente della Protezione Civile regionale, Gaspare Sinatra, ex commissario straordinario del Comune di Messina, Alberto Pistorio, Giuseppe Rago e Francesco Grasso, redattori del Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico, Giovanni Arnone e Tiziana Flora Lucchesi, dirigenti della Regione Siciliana, Francesco Triolo, Salvatore Di Blasi e Giovanni Garufi, tutti progettisti, Salvatore Cotone, geologo, Antonino Savoca, autore di uno studio tecnico, e Giovanni Randazzo. Per tutti il giudice dispose l’assoluzione, in alcuni casi con la formula «per non aver commesso il fatto» e per altri «perché il fatto non sussiste». Quindi si trattò di assoluzioni “piene”, che prospettavano un quadro ben diverso rispetto a quanto sosteneva la Procura in tema per esempio di prevedibilità dell’evento e di responsabilità personali. (n.a.)

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