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Il cuoco dei migranti,
un “pasto” di umanità

Il cuoco dei migranti, un “pasto” di umanità

Sui giornali, Alessio Riggio c’è finito già una volta: aveva 17 anni e il giorno prima l’Itala, la sua squadra, si era appena giocata la promozione in Prima categoria. Lui faceva l’attaccante. Al 90° l’arbitro fischiò il rigore. «Vado io», disse ai compagni.

Alessio mise la palla sul dischetto, prese la rincorsa, tirò. Portiere da una parte e palla dall’altra. In tribuna. «All’ultima occasione utile, Riggio fallisce il rigore», scrisse il giorno dopo la Gazzetta del Sud nelle pagine della cronaca di Messina. Poi il cronista aggiunse una postilla, tra parentesi: «Uscito tra i fischi».

Ma ora che ne ha 32, Alessio non è più quell’attaccante indeciso. “Friggio” come lo chiamano tutti a bordo, è il cuoco di Nave Dattilo della Guardia Costiera. E le idee ce l’ha chiare. Come il sorriso: vero, pulito. «Quando arrivano i migranti, quando i miei colleghi li raccolgono da quei gommoni che stanno a galla per miracolo, io esco dalla cucina e li osservo. Li guardo e penso che è giusto andare a cucinare per loro, dopo tante sofferenze». Capita spesso che dopo aver cucinato per tutti, “Friggio” si sieda a tavola con il comandante. Perché le formalità se le lasciano alle spalle, pensando che in fondo è la sostanza quella che conta. Sulla nave e nella vita. «Il primo impatto che i migranti hanno con l’Italia, l’Europa, siamo noi. Così il nostro ruolo è fondamentale, per la loro sopravvivenza e per far vedere loro chi siamo davvero. Per questo vado a cucinare. Tutti noi facciamo parte di un progetto più grande, che ci rende più orgogliosi», dice Alessio.

Parole semplici. Che però faticano ad entrare nella testa dei tanti che ancora parlano di immigrazione senza aver mai guardato negli occhi qualcuno di quelli che scendono impauriti e tremanti da un gommone. Alessio è di Scaletta Zanclea, uno dei paesi sulla costa messinese devastati dall’alluvione del 2009, in cui morirono oltre trenta persone. «Casa mia si è salvata, e anche i miei genitori. Ma altri no», dice “Friggio”. E quando ne parla cambia espressione, come se il ricordo di quello scempio, in cui molte sono le colpe degli uomini, accendesse in lui l’interruttore della rabbia. Ma è solo un attimo. Alessio e gli altri ragazzi della cucina - Ciro, Salvo, Marco - sono arrivati a preparare anche duemila pasti al giorno. Significa che inizi la mattina alle 6 e a mezzanotte sei ancora lì che cuoci la pasta e tagli verdure. «Mangiare e sorridere, è questo l’importante».

Ma “Friggio” a bordo non è solo il cuoco. È la presenza immancabile al tavolo da tresette. All’inizio giocava a briscola, fino a quando il precedente comandante disse che solo a quello poteva giocare, perché per il tresette ci vuole l’intelletto. «All’inizio furono mazzate colossali, con conseguente lancio di carte. Poi le cose sono migliorate». E ora, giochi bene? «Il mio è uno stile fortunato», sorride sornione Alessio. Il comandante Morelli la pensa in maniera leggermente diversa e “Friggio” contro il comandante è lo show che va in onda tutte le sere e che nessun programma tv riesce ad oscurare. Tranne quando c’è l’Isola dei famosi. In quel caso è Alessio stesso a mollare le carte ed inseguire il suo sogno: essere tra i concorrenti a Playa Grande.

L’ultimo compleanno a casa, lo ha passato cinque anni fa, tutti gli altri era in mare come ieri. Due torte, tre bottiglie di spumante e una citazione come discorso: «Come disse Garibaldi ai suoi ragazzi a Capua, grazie mille a tutti». Poi “Friggio” si è accorto di aver sbagliato, non era Capua ma Teano. «Dai, metti quella giusta. Però cavolo, quanti baci che ho rimediato» (uscito tra gli applausi).

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