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«Francesco vuole una Chiesa che esce per strada»

«Francesco vuole una Chiesa che esce per strada»

di Claudio Staiti

Lo chiamano il “cyberteologo” perché è stato fra i primi uomini di Chiesa a capire e a interpretare come luogo di “vocazione” lo spazio digitale che, per citare le sue stesse parole, non è «inautentico, alienato, falso o apparente, ma è un’estensione del nostro spazio vitale quotidiano». Quando Padre Antonio Spadaro ci risponde, sono passati pochi giorni dal «viaggio triste» di Papa Francesco a Lesbo, visita alla quale anche lui ha preso parte tra i membri della delegazione papale. Lo raggiungiamo al telefono, tra i vari impegni che quasi settimanalmente, quando non è nella sede romana de “La Civiltà Cattolica”, lo portano a girare il mondo. Dopo la nostra intervista, lo aspetta un volo per Lisbona dove presenterà la versione portoghese del libro, da lui curato, che raccoglie le domande dei bambini al Pontefice e le risposte di Francesco.

Il prossimo 28 Aprile sarà a Messina: in quell’occasione incontrerà i seminaristi e i sacerdoti e poi ritirerà un premio dato dai giovani della FUCI. Con quali sentimenti torna nella sua città?

Tornare a Messina, quando mi è possibile, è fonte per me di grande gioia: ritrovo un clima di casa. Sono stato invitato a tenere un incontro con i seminaristi e sacerdoti sul tema della Misericordia. Sulla Fuci: sono contento che i ragazzi abbiano pensato a me per questa prima edizione di questo premio.

È dispiaciuto che ad accoglierla non ci sia un Vescovo ma un amministratore apostolico?

No, Messina non è l’unica città a non avere un vescovo al momento e l’importante è che ci sia una figura che guidi il popolo di Dio.

Conoscendo il Papa, cosa c’è da aspettarsi per Messina? C’è un progetto più grande in cantiere?

Non saprei cosa rispondere perché ormai non conosco bene la realtà locale. Posso solo dire che non esiste un “metodo” che porta a compiere scelte standard. Le scelte del Papa variano a seconda delle necessità e del bisogno delle singole Diocesi.

Lei si è laureato in Filosofia all’Università di Messina, sotto la guida di Filippo Bartolone. Come ricorda quegli anni?

Ho ricordi molto belli. Il professor Bartolone è stato non un professore, ma un vero maestro. Sono anni che mi hanno formato profondamente, che mi hanno fatto gustare il piacere della ricerca e dell’approfondimento. Anche il fatto che eravamo relativamente in pochi in Facoltà ha contribuito a farmi vivere un clima di ricerca vissuto anche come amicizia.

Subito dopo la laurea, a 22 anni, è andato via da Messina. Quale città ha lasciato? Pensa che in questi anni ci siano stati più passi avanti o più passi indietro?

Ho lasciato una città dal potenziale enorme. Viaggio molto e vivo a Roma ormai da molti anni e l’eco che mi arriva da Messina è quella di una città che non riesce ancora a prendersi il ruolo che le spetta. I passi avanti da fare, in questo senso, sono molti.

Anche se qualche “superstite” è rimasto, i Gesuiti a Messina non ci sono più ormai da molti anni…

Sì, quella presa dall’Ordine fu una scelta sofferta e dolorosa. I gesuiti sono stati una presenza fondamentale per la formazione di tantissimi e per il dibattito culturale e politico di Messina, e io l’ho potuto sperimentare direttamente.

I più grandi ricordano con affetto il Collegio dei Gesuiti di Piazza Cairoli. Non trova che averlo buttato giù per far posto a negozi e uffici possa essere l’emblema di una città che non ha saputo preservare il bello e ha preferito specularci su?

Il Collegio di Piazza Cairoli è vivo nella mente di chi mi ha preceduto. Io non l’ho vissuto direttamente, perché ho studiato all’Ignatianum, ma certamente l’averlo abbattuto ha rappresentato una pagina triste in cui non si è salvaguardato una bellezza architettonica di rilievo.

Il suo rapporto con Papa Francesco. Lei è stato il primo a intervistarlo nel 2013, a pochi mesi dalla sua elezione. Come definirebbe Sua Santità e il suo rapporto con lui?

Io Francesco non lo definirei, proprio perché mi risulta complicato farlo. Intervistarlo è stato un dono immenso. Lui tende ad instaurare un rapporto speciale con chiunque, riesce a scavare nelle profondità di ciascuno di noi.

Per qualche commentatore lei sarebbe tra i consiglieri più stretti del Papa. Conferma?

Il Papa non ha un “cerchio magico” esclusivo di consiglieri. Sa perché vive a S. Marta e non negli appartamenti papali? Perché così può dialogare con molte più persone e sentire il parere di molti.

Ultimi 3 grandi momenti del Pontificato sono l’incontro con Kiril, l’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” e il viaggio a Lesbo. Che quadro tracciano, secondo lei, questi 3 episodi?

L’incontro con il Patriarca di Mosca è legato con il viaggio a Lesbo: il Papa comprende l’assoluta necessità di rafforzare i legami con i fratelli ortodossi e puntare sull’ecumenismo perché è convinto che, così agendo, ci siano più possibilità di essere incisivi nella difesa dei tanti cristiani perseguitati nel mondo. Ma anche dei non cristiani, come ha dimostrato accogliendo in Vaticano alcuni profughi musulmani. L’esortazione apostolica segna un punto importante e risponde al sentimento dell’accoglienza. Si vuole, ad esempio, accompagnare i fedeli dalle situazioni cosiddette “irregolari” e curare, con misericordia, le loro ferite. É importante però ricordare che questo documento del Papa, che è un importante atto di magistero, è il frutto di una discussione collegiale con i vescovi, durante il Sinodo.

C’è chi accusa il Papa di fare troppo, chi di fare troppo poco. C’è che lo definisce, per le sue riforme e il suo slancio, “progressista”. Dove porteranno queste riforme?

Non posso dire dove porteranno. Posso dire che Francesco non solamente compie “atti” ma soprattutto avvia “processi” e, in questo senso, non tutti i risultati saranno visibili subito. Le riforme più incisive sono quelle frutti di processi profondi e lenti. Quanto alle definizioni di “progressista”, va detto che nessuno riuscirà mai ad ingabbiarlo in nessuno schema predefinito.

Non c’è il rischio che ci siano due Chiese? Quella annunciata da Francesco e quella poi dei fatti?

Non esiste una “chiesa di Francesco”: esiste la Chiesa. Che annuncia il Vangelo e parla di amore e di perdono.

Come fa il Papa a comunicare grandi contenuti di fede in modo così semplice e diretto e fare ciò che ai suoi predecessori non è riuscito o è riuscito in misura diversa?

Eviterei tutti i paragoni perché ogni pontefice risponde alle esigenze del tempo in cui vive, ciascuno con un carisma diverso. Il Papa riesce a comunicare bene perché lo ha sempre fatto, sin dalla sua esperienza pastorale argentina. Come ho avuto modo di dire spesso, il Papa non comunica ma crea “eventi comunicativi” ai quali chi riceve il suo messaggio partecipa attivamente.

Il Papa ha dichiarato di preferire una «Chiesa accidentata che esce per strada» a una «Chiesa ammalata di autoreferenzialità». Eppure, talvolta, i cattolici trovano di fronte muri invalicabili. Come fare perché sacerdoti e vescovi siano, per citare ancora Francesco, «pastori e non funzionari»?

Il rischio certamente c’è, ma ogni consacrato sa che, per citare il Papa, occorre avere addosso l’odore delle pecore come il Buon Pastore.

Lei è molto presente sulla Rete e sui Social. In tal senso, come la Chiesa può essere “connessa” con gli altri?

La Chiesa per missione è presente dove sono presente gli uomini. Quindi è normale che abiti la rete e che lo faccia non per proselitismo ma testimoniando la bellezza di seguire Cristo e di accogliere la sua parola.

Quasi 30 anni fa, la storica visita di Giovanni Paolo II a Messina. Quanto dovremo aspettare perché un altro Pontefice venga dalle nostre parti? Non può metterci lei una buona parola?

(ride per quest’ultima domanda) Ricordo bene quel giorno del 1988… Mi piacerebbe molto che il Papa venisse in Sicilia e, perché no, a Messina. Ma non so proprio. Posso dire che quando l’ho intervistato lui ha fatto riferimento al mandorlo della Sicilia, quindi ha ben presente la nostra isola (a proposito del fatto che Dio ci precede sempre, il Papa aveva detto a Spadaro «Dio è un po’ come il fiore del mandorlo della tua Sicilia, Antonio, che fiorisce sempre per primo» ndr). Aggiungo una cosa: studiando i suoi movimenti, noto che gli ultimi viaggi apostolici hanno come direzione l’Est, l’Oriente. Quindi forse Messina, in questo senso, dovrebbe recuperare quel sapore orientale che le è sempre stato proprio, pensiamo solo alla presenza dei Basiliani, e a riproporsi, così come le è possibile, crocevia del Mediterraneo, città ponte di connessione e non città muro.

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Chi è

Ha studiato filosofia a Messina

Padre Antonio Spadaro (Messina, 6 luglio 1966) è un gesuita, scrittore e teologo italiano, attuale direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”. Si è laureato in filosofia nel 1988 nel nostro ateneo. Entrato subito dopo nel noviziato della Compagnia di Gesù, ha ricevuto nel 1996 l’ordinazione presbiterale e nel 2007 ha pronunciato i voti solenni nella Compagnia di Gesù. È consultore del Pontificio consiglio della Cultura e di quello delle Comunicazioni Sociali. È stato l’autore della prima intervista a Papa Francesco, realizzata nel 2013 per conto de “La Civiltà Cattolica”. È autore di numerosi saggi. Cura il blog molto seguito www.cyberteologia.it.

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