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Cucchiara: i messinesi
vogliono la legalità

di Nuccio Anselmo


Questore Giuseppe Cucchiara, ci vediamo dopo un suo lungo periodo di ambientamento. La prima domanda è scontata, ovvero qual è la sua impressione su Messina, che tipo di città è?

«Una città che si presenta di non facile lettura, che si decifra a poco a poco, con il giusto tempo, una città dove la gente è abituata e vuole la legalità. Ma purtroppo talvolta questa aspirazione della società civile o comunque della parte sana della società civile, non viene assecondata per una serie concatenata di motivazioni. È una città dove ancora per fortuna si riesce anche a vivere serenamente, dove non si avverte la morsa opprimente della criminalità come in altre zone del Sud Italia. Non perché la criminalità non vi sia ma perché il livello di aggressione criminale è a mio avviso nei limiti di guardia, se così possiamo dire. È una provincia, allargo la sua domanda, estremamente ampia e la provincia merita, a mio avviso, la stessa attenzione che merita la città perché invece allontanandoci anche di poco ci imbattiamo in uno scenario completamente diverso. E mi riferisco non solo alla nota connotazione della criminalità legata al comune di Barcellona Pozzo di Gotto. Ma mi riferisco anche a tutto quello che avviene nell’entroterra della costa tirrenica, dove ci sono importanti attività imprenditoriali o sino a poco tempo fa, o forse ancora sino a oggi, addirittura gestite dalla criminalità organizzata, comunque dalla criminalità, e di contro vi è l’esigenza di una maggiore presenza dello Stato e delle forze dell’ordine per fatti naturali, geografici, certo non facile da mantenere. Chiarisco questo concetto. Ad esempio io penso alla gestione degli allevamenti, mi riferisco quindi al danno dell’abigeato, alla macellazione clandestina, al controllo dei pascoli da parte della criminalità organizzata. Possono sembrare fatti minimi detti così, ma c’è una forte parte di economia che ruota attorno a questi settori».

Quindi non c’è soltanto la mafia delle organizzazioni criminali, o meglio, c’è anche la mafia dei pascoli nella nostra provincia?

«Ho motivo di ritenere di sì. C’è la mafia dei pascoli e ci sono delle famiglie che, avvalendosi di modalità di comportamento tipiche dell’organizzazione mafiosa, lucrano sui contributi europei, attraverso la falsa gestione di attività economiche legate comunque all’attività pastorizia che invece esiste soltanto sulla carta e, ripeto, sono settori che non dobbiamo correre il rischio di sottovalutare, perché producono arricchimenti rilevantissimi. Ci sono settori attorno ai quali ruotano interessi economici notevoli e c’è stato anche qualche caso di omicidio nella parte interna dei Nebrodi, verosimilmente riconducibile a questi interessi».

Lei ha ripreso in mano o ha fatto riprendere in mano qualche caso irrisolto negli ultimi tempi?

«No, no».

Penso all’omicidio Bottari.

«No».

È un po’...

«Un buco nero».

Forse aiuterebbe meglio a capire le dinamiche di questa città. Ha intenzione di farlo?

«È interessante farlo, sarebbe opportuno farlo in presenza anche di elementi nuovi. Può darsi che qualche indicazione utile possa  venire anche da qualche collaboratore di giustizia, figure fondamentali del nostro sistema investigativo giudiziario che spesso aiutano e danno chiavi di lettura di fatti anche risalenti nel tempo, soprattutto se sono vissuti in prima persona».

Lei diceva prima che a Messina c’è un livello di criminalità che è profondamente diverso rispetto a quello della provincia. È una situazione differente rispetto a quello che Messina ha vissuto a cavallo tra gli anni 80 e 90, con una suddivisione territoriale forte tra clan e una guerra di mafia in più puntate. Quindi il livello di attenzione vostro è concentrato sulla provincia o anche sulla città?

«No, assolutamente il nostro livello di attenzione è concentrato fortemente sulla città. Per fortuna vivo un momento favorevole dal punto di vista della mia organizzazione del lavoro come responsabile e come capo di questa struttura provinciale perché ho sul territorio, che puntella soprattutto la fascia tirrenica, quella di maggiore interesse, dislocati dei presidi che in questo momento mi danno soddisfazione. Faccio riferimento oltre che a Barcellona Pozzo di Gotto al più lontano dei nostri commissariati che è quello di Sant’Agata di Militello, che ho orientato proprio verso quei reati dei quali parlavamo prima e dove sono certo, so, che c’è una forte attenzione, e ogni tanto qualche risultato viene a galla».

Le do dei flash sulla città: droga, usura, prostituzione, clan.

«Allora, io farei una relazione di ognuno di questi tre elementi residuali con la parola clan. Droga, c’è ovviamente, purtroppo c’è in tutte le realtà urbanizzate, quindi anche a Messina, ed è gestita dai clan della città. Messina non è esente da criminalità, lo ha detto più volte il procuratore della Repubblica, ovviamente, è evidente che sono totalmente vicino alla sua posizione. Messina non è esente dalla presenza di organizzazioni criminali, che non risulta in atto, allo stato delle nostre indagini, siano legate a Cosa nostra, cioè non hanno una valenza rappresentativa dell’organizzazione mafiosa corleonese. Però sono dei gruppi criminali che com’è noto insistono in alcuni quartieri, sono maggiormente radicati in alcuni quartieri della città e attraverso loro passa sia lo spaccio, più che il traffico, della droga, sia quello di altre attività comunque criminali che fanno purtroppo parte del nostro quotidiano. Le rapine, non sono organizzate, ma sicuramente vengono da queste famiglie criminali. Sulla prostituzione ho qualche perplessità perché la prostituzione è strutturalmente ormai diventata extracomunitaria, e quella comunitaria invece è una prostituzione di non evidente impatto sull’ordine pubblico. Nel senso che non vedremo mai colonne di automobilisti fermi davanti a una prostituta rumena o italiana».

Lei sarebbe a favore della riapertura delle case chiuse?

«Chiaramente una risposta formale non la darò mai, perché come dice Guido Lo Forte mi sta chiedendo un’opinione. Le rispondo in termini di carattere generale, perché mutatis mutandis la  stessa domanda può estendersi alla liberalizzazione delle droghe leggere. E allora tutto ciò che è vietato comporta inevitabilmente un contromercato gestito dalle organizzazioni criminali. Se fosse vietata la vendita di alcolici come negli Stati Uniti negli anni del Proibizionismo avremmo organizzazioni criminali che s’interesserebbero a vendere sottobanco alcolici. Quindi faccio questa considerazione di carattere generale e poi ne ricaverà da questo, di fatto, la risposta alla sua domanda».

Poteri forti e massoneria in questa città, che ha avuto un estremismo di destra molto forte negli anni ’70 e clan molto rilevanti. Si è parlato spesso di tutta questa “rete” che non è mai cessata completamente all’interno delle strutture di comando della città. 

«Guardi, entriamo nel più difficile degli argomenti legati anche alla conoscenza del territorio. Credo che sia molto difficile farsi oggi un’idea realistica, chiara dell’esistenza di questi poteri forti, come lei li ha chiamati. Io ritengo che oggi la società che viviamo, grazie al nostro impegno, grazie alla nostra trasparenza, e ad una magistratura attenta, non tolleri e non concepisca l’idea di nessuna sacca di impunità. Lo dimostrano le recentissime indagini avviate un paio di anni fa ma che hanno portato all’esecuzione di clamorosi provvedimenti restrittivi tra la fine del 2013 e ancora proseguiti nei primi mesi di quest’anno. Credo che sarebbe stato impensabile qualche anno fa registrare un provvedimento di cattura a carico di un esponente di primissimo piano della politica non solo siciliana ma anche nazionale. È forte l’attenzione nei confronti delle amministrazioni pubbliche ma è evidente che a Messina è cambiato qualcosa. Messina che era tradizionalmente una città di destra oggi ha un’amministrazione che rispetto alla destra è diametralmente opposta. Quindi questo vuol dire che la città comunque... l’amministrazione Accorinti non è frutto di una presa di potere dittatoriale ma è frutto di una elezione democratica, quindi i cittadini messinesi hanno sicuramente inteso voltare pagina. Che la massoneria a Messina esista e sia ben radicata è cosa assolutamente nota. C’è un numero elevatissimo di logge massoniche ufficiali che, come lei sa, hanno obbligo di presentazione, proprio perché è vietata la costituzione di associazioni segrete, di presentazione alla Questura dell’elenco dei soci. Quindi sicuramente c’è una cultura massonica nella città. Quello che io posso affermare, senza tema di smentita, è che non ho mai ricevuto, non dico una pressione perché sarebbe impensabile, ma direi una sollecitazione esterna su nessuno degli atti che io ho dovuto compiere. Io mi rendo conto che c’è sempre molta dietrologia sugli atti che io esprimo in maniera formale, anche le dirò all’interno tutto sommato di questo ufficio, se io faccio un trasferimento, percepisco con chiarezza la dietrologia di questo banale trasferimento. Chi lo ha raccomandato? Nessuno ha raccomandato nessuno, così come devo dire per quelle che sono le azioni tipiche dell’autorità di pubblica sicurezza, ripeto non ho mai ricevuto nessuna pressione, sono stato probabilmente fortunato, non mi sono scontrato, ma non perché non abbia cercato lo scontro, perché io vado avanti per la mia strada senza occuparmi minimamente di chi incontro lungo il percorso. Ma anche il rilascio di un titolo, di un’autorizzazione al porto di un’arma corta o lunga, altre volte mi si riferisce è passata attraverso pressioni di vario genere. Io invece non ho mai ricevuto niente di tutto ciò».

Fare il poliziotto in Italia dopo i fatti della Diaz oggi è la stessa cosa?

«In che senso? Dal punto di vista soggettivo o...».

Dal punto di vista generale.

«È più difficile, perché nonostante la polizia di oggi, la polizia del 2015 non abbia niente a che vedere con la polizia del 2002, una polizia radicalmente cambiata, ci si trascinano dietro le scorie di quei fatti che sono dei fatti che sentenze passate in giudicato hanno definito per quelli che in effetti sono stati. Ovviamente rattrista in contesti in cui quando meno te lo aspetti ti additano non personalmente ma come corpo di polizia, “voi siete quelli della Diaz”, perché non è più così, adesso è un’altra polizia. Una polizia che adesso passa da corsi di formazione dell’ordine pubblico, ovviamente visto in maniera completamente diversa, e poi soprattutto si tende a distinguere anche all’interno della stessa Polizia di Stato vari settori. Si generalizza con concetti del tipo “il poliziotto buono è quello che fa le indagini e il poliziotto cattivo è quello che invece va in piazza”, ma non è così, sono dei ruoli interscambiabili, non c’è un concorso per andare a fare le indagini e un concorso per andare a fare l’ordine pubblico. Sono uffici nei quali si viene assegnati per cui la struttura, la formazione iniziale è la stessa».

Dove vuole incidere in questa città, che obiettivi si è prefissato da raggiungere?

«Io mi sono prefissato la vicinanza al cittadino. Io ricevo tutti nel mio ufficio, chiunque chiede di parlare con me, tranne che non ne conosca il motivo e sia un pregiudicato che è stato denunziato, lo ricevo. L’obiettivo è quello di rendere lo slogan “vicino alla gente” reale».

I cittadini che cosa le dicono quando vengono a parlare con lei?

«I cittadini lamentano situazioni di forte disagio di convivenza civile. Altre volte mi scrivono o mi chiamano, ma soprattutto mi scrivono lettere o email per segnalare o episodi personali nei quali ritengono di essere stati lesi di un diritto, o situazioni che percepiscono come fortemente illegali e sulle quali chiedono un intervento. Io rispondo a tutti e, devo dire la verità, che mi capita anche di restarci male quando noto che la mia risposta è caduta nel vuoto. Tutto sommato il ragazzo di 20 anni che mi scrive perché denuncia che un determinato giorno c’è stato un problema e la polizia è venuta in ritardo e io gli rispondo, cioè il questore gli risponde dal computer, e dice “Guarda mi dispiace, farò in modo che non succeda più, però è successo per questi motivi”. Magari mi aspetterei una risposta e invece... non c’è una relazione, probabilmente mi scrivono nella presunzione, nella certezza che questa lettera cadrà nel vuoto. Poi la risposta, forse, coglie di sorpresa. Un giorno mi ha scritto un ragazzo che io non conosco. “io ho avuto un piccolo problema nella mia vita, sono stato denunziato perché avevo una piccolissima quantità di hascisc, sono passati dieci anni, le chiedo il rilascio del porto di fucile per uso sportivo. So che di solito c’è un automatismo, la prego di valutare la mia posizione”. Ebbene io ho valutato la sua posizione e gli ho rilasciato il titolo. E lui non avrà neanche messo in relazione la sua lettera con il rilascio del titolo. Alla fine, nonostante le critiche che riceviamo, ma anche molti apprezzamenti, anzi sono sempre di più gli apprezzamenti, alla fine è un dato di fatto che noi ci siamo sempre. C’è un 113 al quale un poliziotto risponde, se non risponde è perché sta parlando con un altro utente, siamo comunque sulla strada, perché alla fine il cittadino ci vede come il risolutore di tutti i problemi. Il condomino che non riesce a dormire perché il vicino di pianerottolo pianta i chiodi nel muro alle 3 di notte mi scrive perché vorrebbe che gli risolvessi il problema. Direi che le più interessanti sono quelle che denunciano illeciti. È molto in voga la lettera anonima...».

Lei quante ne riceve?

«Una decina al mese. Spesso non è la relazione sulla persona, l’indicazione su alcuni illeciti, anche e soprattutto quelli amministrativi. A volte possono anche essere spunti di indagine».

Il ferimento del body-guard al rione Taormina potrebbe essere la spia di un malessere nella gestione dei locali in città. Lei come vuole intervenire su questo versante?

«Intanto facendo uno screening dei soggetti legati da rapporto privatistico con la discoteca per vedere chi sono. Facciamo dei controlli amministrativi, sia sulla discoteca sia sulle persone che ci lavorano. Devo dirle, perché è inutile nascondersi dietro al dito, le risorse non ci sono. I miei collaboratori hanno direttive chiare, il venerdì, il sabato e la domenica bisogna incrementare nel limite del possibile le pattuglie sul territorio. Quando succede un fatto, una rissa, la Volante interviene sempre, finora è accaduto che interviene prontamente. A volte ho letto sulla stampa che i cittadini lamentano... “sì è vero che la Volante arriva subito, però meglio sarebbe stato se ci fosse stata da prima la presenza della polizia, non ci sarebbe stata la rissa”. Ora bisogna essere onesti su questo argomento, se il cittadino ipotizza che ci possano essere due poliziotti davanti a ogni discoteca sarò costretto a deluderli. Non sarebbe possibile, non ci sono le risorse ma soprattutto non sarebbe neanche giusto per la collettività che paga il servizio alle forze dell’ordine. Perché è giusto che le forze dell’ordine si occupino di una variegata gamma di attribuzioni fra le quali sicuramente, al di là di una generica esigenza di tutela l’ordine pubblico, non c’è quella di piantonare gli ingressi delle discoteche» 

C’è un allarme rapine in città?

«L’allarme degli esercenti delle attività commerciali è sempre giustificato. Io le rispondo che l’arido conteggio induce a dire che non c’è un allarme criminalità perché c’è un numero fisiologico di rapine. Messina è messa cento volte meglio rispetto a Catania e poi non parliamo di Palermo. È chiaro che nessun cittadino è disposto a rappresentare quel 3% di statistica che viene rapinato, quando fanno una rapina o un furto in casa, anche se fosse uno solo è sgradevole e non è accettabile. Facciamo di tutto per essere presenti, incrementiamo per quanto è possibile il controllo del territorio perché la rapina io posso soltanto tentare di evitarla mettendo in giro macchine e poliziotti. La struttura di Messina non gioca a nostro favore, cioé una viabilità difficilissima, capita spesso che un equipaggio è distante pochissimi metri dal luogo di una rapina ma per arrivare sul posto con la città paralizzata, le strade a senso unico, con una viabilità molto difficile, passa quel tempo che consente al rapinatore di sottrarsi. Noi abbiamo risultati dal punto di vista investigativo positivi sulle rapine consumate, nel senso che è altissima la percentuale di colpi scoperti con arresto dei rapinatori. Ma è chiaro che il cittadino commerciante, il cittadino comune, vorrebbe che la rapina non venisse consumata. Bisogna entrare in un’ottica un po’ diversa forse, bisogna capire che oggi la sicurezza non può che essere partecipata, non si può delegare la sicurezza solo alle forze dell’ordine. Se io abito in una città difficile quando chiudo la porta lo faccio con la doppia mandata. Anche qui, un po’ come l’ordine pubblico, tutto è legato al fatto che fisicamente è impossibile ipotizzare la presenza di un poliziotto o un carabiniere all’entrata di ogni supermercato. Allora io dico sempre “sistemi di sicurezza, soprattutto legati alla videosorveglianza”. La videosorveglianza è un forte deterrente».

Lei ha avuto una stagione molto intensa a Palermo. Le manca? Si sente con le mani in mano?

«Io sono diventato questore facendo tutta la mia scala gerarchica e la mia gavetta. E pensavo sempre, quando ho cominciato ad avere una certa età anagrafica, pensavo che sarebbe stato bello un giorno, ma non ero certo di diventare questore, non è automatico o scontato. Se un giorno fossi stato a capo di un ufficio mi sarebbe piaciuto perché avrei potuto orientare l’ufficio secondo le mie idee. È quello che faccio da questore, non sono una persona che si limita a camminare su una strada già tracciata. Io do la mia personalità all’ufficio. Quando sono arrivato dopo circa 3-4 mesi della mia presenza a Messina, ho “girato” quasi tutti i dirigenti degli uffici, ho fatto un turn-over, ho attribuito ad esempio alla responsabilità delle Volanti, che è un ufficio fondamentale del territorio, a una giovanissima funzionaria, scelta che poteva anche presentare dei profili di rischio, tutto sommato. Sono degli esempi per dire che non mi annoio, mi sforzo di cercare di far funzionare nel modo migliore questa macchina che è estremamente complessa».

Se dovesse dare un consiglio ai messinesi?

«Di fidarsi delle forze dell’ordine».

Prescindendo dal rapporto polizia-cittadinanza, sul piano del comportamento in una città che spesso è troppo sonnolenta?

«Due consigli. Primo di non rassegnarsi, secondo di stare più attenti alle regole di convivenza civile».

Cioé?

«C’è una percezione di disordine andando in giro per la città. Macchine posteggiate ovunque, doppie file, traffico caotico, conflittualità banale a volte, legata a piccole cose. Ricorderà che alcune settimane fa da qualche parte veniva paventato un allarme sociale solo perché i controllori salivano sul tram e chiedevano il pagamento del biglietto, che è un’elementare scelta. Forse una maggiore attenzione al rispetto delle regole di civile convivenza. Non voglio offendere nessuno...».

In conclusione, ha niente da dire a sua discolpa del fatto di essere questore di Messina?

«Viviamo un momento, una congiuntura economica difficile, e questo ci condiziona...».

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