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«Io, disabile e
totalmente abbandonata»

allegra antonina

La signora Antonina ha i capelli biondi e gli occhi azzurri. Il colore della pelle, lievemente rosato, ricorda quello di una pesca appena fiorita. Il suo sguardo “parla” e trasmette serenità, «non è un caso se il mio cognome è Allegra», afferma sorridendo. Il corpo, invece, è immobile. Nuccia, così come tutti l’hanno sempre chiamata, da più di 25 anni è costretta sulla sedia a rotelle. Che per lei, però, «rappresenta una grande amica. Io, forse, a differenza di tanti altri disabili –racconta - non odio la sedia, perché è “lei” che mi garantisce una relativa libertà. Se non fosse per questa carrozzina, dovrei stare sempre a letto». Le braccia e le gambe di Antonina, portano i “segni” di quella subdola patologia che finisce col rendere prigionieri della propria fisicità: la distrofia muscolare. Con il passare degli anni, infatti, la malattia, a causa della natura degenerativa che la contraddistingue, determina una progressiva perdita di funzionamento della fasce muscolari. Così, ovviamente, è stato anche per la donna, neanche sessantenne, per la quale, da un giorno all’altro, compiere il più piccolo gesto è diventato un’impresa. Quando arriviamo per la nostra chiacchierata, Nuccia ci aspetta seduta al tavolo della piccola stanza-cucina su cui affaccia la porta d’ingresso. Steso ai “suoi piedi” c’è Rex, omonimo del commissario a quattro zampe della tv: «Non mi lascia mai sola, vive con me questi arresti domiciliari forzati», dice con amara dolcezza la signora. Da sotto la mantellina rosa, di lana rasa, che le avvolge la parte superiore del busto, “sbuca” fuori una mano che, con tocco delicato ma deciso, ci porge in segno di saluto. La sua schiena è sostenuta da due supporti in legno; lo sguardo, per via della posizione, è rivolto verso il muro. Bianco, silenzioso e indifferente. Tre aggettivi che (s)qualificano perfettamente anche il modo in cui le istituzioni hanno ignorato il dramma della signora Allegra. E, come il suo, quello di tante altre “vittime” della vergognosa gestione dei servizi sociali messinesi. Le manifestazioni, legittime e sacrosante, inscenate in moltissime occasioni dai lavoratori di un settore ridotto alla frutta da spiccioli interessi che fanno leva sulle altrui esigenze, fisiche e psicologiche, in molti casi hanno finito col mettere in secondo piano la ragion d’essere del settore sociale: il diritto alla cura e all’assistenza. «Io accetto la mia condizione – afferma Nuccia – ma non voglio sentirmi un peso. Ogni disabile è un caso a sé e serve grande capacità di ascolto da parte di chi si occupa di noi. Fin quando sarò in grado di intendere e di volere, non permetterò mai a nessuno di calpestare la mia dignità». La signora Allegra conosce bene l’evoluzione, o meglio il declino, dei servizi sociali cittadini, essendo stata costretta, suo malgrado, a farne ricorso molto presto. L’assistenza domiciliare ai disabili, dopo la sospensione dello scorso marzo per il mancato rinnovo delle proroghe, dovrebbe riprendere regolarmente da domani (risolto il problema del passaggio dei lavoratori dalla cooperativa Nuove Solidarietà alla coop. Alba, subentrata alla Delfino dopo il rifiuto di quest’ultima). E tuttavia, «le ultime settimane sono state un incubo–afferma Nuccia –. È dallo scorso 20 marzo che non ho più assistenza. Sono stata totalmente abbandonata e quindi sono costretta a pagare per avere un aiuto di un operatore che mi costa 900 euro al mese. Come si può andare avanti? Io – continua – usufruisco di 18 ore settimanali, tre ore al giorno suddivide in tre turni: mezz’ora la mattina, 45 minuti intorno a mezzogiorno, un’oretta il pomeriggio. La domenica e le festività, invece, nessuna copertura ». Vietato, quindi, aver bisogno di aiuto nei giorni di festa o avere un’esigenza fuori dall’ “orario di lavoro” In tali circostanze, ad Antonina e ai tanti che vivono la sua stessa condizione di immobilità, non rimane che attendere. Attendere che l’operatore di turno, magari infastidito dal dover prestare assistenza “gratuita”, perché in arretrato di parecchi stipendi, non bussi alla porta dell’assistito e lo aiuti a sollevarsi dal letto. «Io sono sola e con una madre di 90 anni» afferma Nuccia, che da qualche tempo è ospite a casa della nipote ventisettenne. Nel raccontarci le quotidiane difficoltà di un’esistenza trascorsa tra un corridoio e due stanze, Nuccia, nonostante tutto, non perde il controllo: «Non sono arrabbiata…sono incazzata. Una signora non dovrebbe dirlo, ma non trovo espressione migliore». Con chi? le chiediamo «Con le istituzioni, con la politica. Non voto da quando avevo 25 anni. Questa volta, però, lo farò, perché c’è qualcuno che rappresenta bene la mia indignazione». Al prossimo sindaco, la signora chiede una politica di “meno sprechi e più servizi”, «non servono più soldi, ma una razionalizzazione delle spese». Lo sfogo arrabbiato ma sempre composto di Nuccia, si intenerisce quando ricorda i suoi familiari, gli unici capaci di non farla mai sentire un peso. È solo per loro che il suo volto si “inumidisce”, mai per se stessa, «perché io ho accettato la malattia, me ne sono fatta una ragione. Sapete perché? Un grande filosofo, non ricordo chi, diceva che la felicità si trova nel sapersi accontentare di quello che si ha. Io sono felice perché ho trascorso una vita piena d’amore. Oggi chiedo solo di essere trattata con rispetto. Prima di essere una disabile, sono una persona ». Con la “p” maiuscola.

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