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Casa del Portuale,
l’ennesimo “scandalo”

Sul muro esterno campeggiano le “firme” degli imbrattatori di professione (per scrivere “poesie” come “Denti i sarucu... E tu! medda”), ma lo spettacolo peggiore è all’interno. Uffici ampi e spaziosi che sembrano essere stati abbandonati all’improvviso, come dopo un’epidemia o un’esplosione nucleare. Uno stato di degrado che appare ancor più intollerabile se si pensa alla mancanza di spazi e all’ubicazione dell’immobile, in quello che dovrebbe essere il fulcro vitale della città che si protende verso il suo porto, l’area tra la Dogana (l’ex Palazzo Reale), via Campo della Vettovaglie, i Magazzini generali, gli ex Silos granai, il Cavallotti, le Stazioni marittima e centrale. Sono tornati a “colpire” i giovani del “Teatro Pinelli”e ancora una volta, al di là dei metodi scelti, va dato loro il merito di aver fatto accendere i riflettori su un altro scempio di denaro pubblico. E sì, perché la “Casa del portuale”, che da mezzogiorno di ieri è stata “occupata”, è un bene di proprietà dell’Ente autonomo portuale e, di fatto, appartiene alla Regione siciliana. Un’altra “perla” di una gestione assurda di un organismo che va soppresso al più presto. Per decenni l’edificio di via Alessio Valore è stato la sede operativa della società Italia, la storica cooperativa impegnata nel settore della movimentazione delle merci nel porto di Messina. La crisi ha colpito duro anche su questo fronte, la cooperativa si è volatilizzata, gli ultimi 31 lavoratori rimasti alle dipendenze sono stati messi in mobilità e, dall’oggi al domani, uffici, saloni, spogliatoi, sale riunioni, archivi, servizi igienici e quant’altro, sono diventati terra di nessuno. È un’opera importante di denuncia, quella attuata dai “pinellini”, ma anche un’offerta propositiva alla città. Gli “occupanti”, infatti, non si sono limitati a forzare gli ingressi e a prendere possesso dei locali, ma hanno cominciato subito l’opera di pulizia, riordinando le stanze devastate, come fosse passata un’orda di Unni. Questo giornale ha sempre seguito con la massima onestà intellettuale le vicende che vedono protagonisti i “giovani del Pinelli”. Ne sono stati riconosciuti i meriti, come in quest’occasione (la loro azione “di forza” è una benefica “frustata” su una città assopita e indifferente), e quando si è criticato, lo si è fatto con il coraggio delle idee, ritenendo che ci sia un momento per la denuncia e un tempo in cui è necessario operare una sintesi ed è giusto inchiodare alle proprie responsabilità enti e istituzioni competenti sul territorio. L’evento di ieri consente di riaprire anche il dibattito su ciò che si vuol fare di tutta questa porzione del centro urbano di vitale importanza per il futuro di Messina. Il disperato tentativo del Comune di “far cassa”non ha prodotto finora risultati apprezzabili e, d’altra parte, svendere beni pubblici al di fuori di un piano particolareggiato coerente e organico è la peggiore delle soluzioni. Ci vorrebbe un’unica “cabina di regia”, che misceli sapientemente le intenzioni e i progetti dei vari enti, tenendo conto dell’interesse generale e armonizzando gli investimenti privati, dei quali la città, in una fase così drammatica per l’economia pubblica, non può certo fare a meno. E invece tutto è affidato al caos e all’improvvisazione. I nuovi amministratori non potranno disinteressarsi delle sorti di questo quadrilatero (i quattro lati sono il porto, la Dogana e tutte le aree attorno, la zona delle due Stazioni e il Cavalcavia che porta nella Falce), bisognerà fare un’opera di ricucitura del tessuto urbano oggi sottoutilizzato e fortemente degradato e capire cosa serve davvero a una città alla quale sono rimaste solo due carte a sua disposizione: il turismo (crocieristico, congressuale, culturale, religioso, studentesco) e il rilancio delle attività marittime e portuali (a cominciare dal polo della cantieristica navale). L’ignavia è il peccato più grave.

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