Il primo a partire a scoprire l’America è stato Celestino. Lui, il grande, che di giorno studiava da meccanico mentre la sera faceva il lavapiatti. Ma un lavapiatti anomalo, innamorato della tradizione e con idee rivoluzionarie. Poi è toccato a Calogerino, Tanino e Giacomino.
Questa storia di andata e tanti ritorni parte da Galati Mamertino e arriva a Los Angeles. Sono passati quarant'anni da quel giorno, da quel viaggio lungo quasi mezzo secolo, da quel treno con le ali sul quale uno ad uno sono saliti i Drago, da quell'avventura arrembante trasformata in successo.
"La cucina italiana allora era un disastro. Quella siciliana poi era tutta molto speziata, rossa, piccante, pesante”. Il fatto è che quando sbarcavi dovevi sopravvivere. Magari ricordavi la mamma o la nonna che preparavano le polpette al sugo e a quelle immagini ti attaccavi, e ci inventavi su una speranza. “Se rimango in questo Paese devo fare il mio ristorante, mi dissi". Era il 1985 quando nacque il primo "Drago". Poi il secondo, il terzo... oggi sono dieci più il Bakery. "Più ci lamentavamo, più continuavamo. Finiva la discussione, aprivamo un nuovo locale".
Loro, tra loro, sono tutti talmente diversi... Calogerino, l'unico che ha studiato ("iscritto all'alberghiero a sua insaputa") è il più naturalista, incontaminato. Tanino andò a cercare la pasta fino alle Hawaii, nonostante Giacomino lo dissuadesse. In fondo due spaghetti pomodoro e basilico come li sbagli? "Riempiendoli tanto di rosmarino che da quel giorno non ne mangio più". Loro, insieme, sono stati degli educatori, hanno trasformato i fornelli in libri, la cucina in aula. Hanno rischiato, piantato e raccolto tantissimo.
Quando si è aperto Drago a Santa Monica, che poi è diventato il ristorante madre di tutti gli altri, Celestino ha preparato un piccolo menù siciliano. Ma per la vera pasta con le sarde serviva il finocchietto. “Chi ci portava l'aneto, chi spezie improbabili. E dire che l'avevamo nel nostro giardino (le colline di Hollywood!)”. E da ambasciatori della cucina siciliana il successo è stato tale (anche il New York Times ha recensito i loro piatti) che andava cavalcato. Così l'apertura successiva fu L'Arancino, “rice ball lo chiamavamo". Un menù in dialetto e tradotto in inglese, “facevamo pure pane e panelle”.
E tutto questo ha attratto il mondo di Holliwood, dello sport, della politica. Da Silvester Stallone a Sharon Stone, da Justin Biener (che ha dato il nome ad un piatto) a Dustin Hoffman, Andy Garcia, Frank Mancuso, Al Pacino, De Vito, Robert De Niro (che preferisce entrare dal retro per non dare all'occhio). Magic Johnson, Djokovic. O ancora Trump, i Clinton... Sofia Loren. E tanti che magari non riconosci e poi te li ritrovi al cinema in tv. “Quando in sala c'è qualcuno del jatset e noi usciamo, prima andiamo negli altri tavoli per non creare gelosie (tipo 'ah guarda lo chef che è andato prima là')". Anche quelli famosi vogliono una vita semplice, genuina e dai Drago la puoi trovare. "Abbiamo dato loro quello che ci ha insegnato crescere in un piccolo mondo antico come Galati: l'ospitalità". Per far sentire a casa bisogna sentirsi a casa. "Noi lavoriamo in famiglia, con sorelle e fratelli, cognate e cognati, nipoti. Chi viene trova sempre gli stessi visi, e questo è più unico che raro". Se si sono mai sentiti stranieri? "All'inizio eravamo come staccati dal resto. La paura di sbagliare generava insicurezza. Ma il popolo americano ci ha spalancato le braccia".
Loro nella loro diversità hanno un punto in comune, le radici. La mietitura, le mandrie. I doposcuola alla trattoria di famiglia, che tu sgattaiolavi a giocare ma la mamma ti beccava e ti riportava al lavoro. La fondazione Celestino Drago, il regalo di compleanno per i 60 anni di quel pioniere ragazzino - oggi Cavaliere del Lavoro - che ha cambiato le carte in tavola ha un senso intrinseco. Salvare le tradizioni minacciate d'estinzione. Un dono immateriale eppure concretissimo, la Fondazione (la sede, ovvio, è a Galati). Un fatto di cultura, di promozione, di testamento, di eredità. Significa fondamenta, memoria dei pilastri del passato che hanno permesso ogni futura costruzione. Perchè per quanto si parta, prima o poi si torna. Sempre.
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