Aveva 11 anni quel giorno che a San Gregorio incontrò Brasi. "Stasera vuoi venire a pescare?", gli chiese. "Certo che sì", rispose. Il "sale dietro l'orecchio" già ce l'aveva, quella traccia fresca del predestinato era lì al suo posto. Francesco Mentesana ha cominciato così a diventare Ciccio il Capitano, un pezzo di storia di Capo d'Orlando.
E così sono partiti, il giovane col vecchio verso il mare. Brasi quel mare lo sentiva, il movimento dei pesci, l'odore della vita quando si muove sottovento. Fumava la pipa, guardava il cielo e aspettava. E Ciccio osservava come un lupo, non capiva ma intanto imparava. Che bisogna avere pazienza col mare, che non c'è fretta per i frutti, che c'è una stella che fa più luce di una lampara. “Che il pesce sente l'alba ed esce allo scoperto per godersela, che ogni specie fa le proprie bollicine come lo champagne, che il mare cammina con la corrente”.
Ciccio il Capitano ancora non lo sapeva che quella rete a maglie fitte l'avrebbe liberato. Eppure era già scritto che quel sogno di una notte di mezza estate sarebbe diventato il suo destino. Una marea d'anni passati in acqua lo avrebbe reso liquido, tanto da prendere la forma del suo contenitore infinito.
Ad un certo punto, quella notte, il mare diventò brillante. “Brasi ha detto che erano 20mila chili e 20mila chili erano”. A naso, ad occhio, ad orecchio, non con la tecnologia di oggi che tra gps, sonar, ecoscandaglio... “il pesce non se la può più scappare”.
C’è stato un tempo in cui c'erano 12 ciancioli a San Gregorio e 9 a Capo d'Orlando. “Dopo la guerra anche le donne andavano a mare, ce n'era tanto da esportarlo. Molti poi sono emigrati in Australia e lì hanno fatto fortuna. Addirittura “c'è un villaggio a Framantle dove fanno la festa della Madonnina come qui”. Anche Ciccio il Capitano ha ceduto, giusto un po’. “Ci sono andato anche io, ci sono rimasto 5 anni, mi ero pure fidanzato. Ma poi sono dovuto tornare. Il mio mare ha un gusto diverso".
Una leggenda antica narra che peschi a mani nude. In fondo “basta cercare i branchi, delle spigole ad esempio (sono incredibilmente intelligenti le spigole). Loro non si muovono perchè depongono le uova, tu stringi, stringi… finchè non hanno scampo e si rifugiano sotto la sabbia. Quindi attendi, scendi in apnea, le prendi e te le infili tra le dita come anelli”.
Un’arte ormai estinta. Chi alle 3 di notte si alzerebbe ancora per andare a calare la rete?
“Per diventare un bravo pescatore devi remare, affiancare chi già sa (il pesce cerca punti di riferimento, lo stesso fa il bravo pescatore), posare il cellulare, capire il sacrificio”. Ciccio ha un telefono buono solo a "chiamare e ricevere". Aveva provato a "modernizzarsi", ma quella distrazione gli costò quasi un dito per una puntura di tracina.
Oggi purtroppo qualcosa non va, "solo 4 chili di pesce dopo una giornata di lavoro e appena ti muovi sono già 20 euro di benzina". Che il nostro mare stesse diventando tropicale lui lo intuì 30 anni fa, quando cominciò a pescare "strano". Lo confessò ad un esperto, il professore messinese Andaloro. Lo ribadì ospite da Fabio Fazio come a Linea Blu. Saranno le acque calde, saranno i quintali di plastica (“ora ci si mettono pure le mascherine”) che l’ammazzano… pesce non ce n'è più. “Noi sopravviviamo, ma l'intenzione è di ritirarmi. Ho paura della depressione, ma ho pure un figlio che non posso mantenere all'università con 20/30 euro al giorno. E per fortuna c'è lo stipendio di mia moglie”.
La sua storia Ciccio il Capitano l'ha raccontata in un libro, in cui è sia narratore di se stesso che... chef. Il pescatore "ce la sa" a cucinare il pesce. Già da quando lo pulisce, e lo mantiene intatto il più possibile. “Magari crudo, senza sciacquarlo troppo, senza privarlo del sapore”. Per fare una buona zuppa? Serve una bella scorfana, un pezzo di totano, le mazzancolle, piccadilli e capperi. Lo fai rosolare bene, lo sfumi col vino bianco, un pizzico di peperoncino... e viri chi manci!".
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