Marcello Cirisano è un simbolo, di integrazione come di resistenza e resilienza. Ha esportato il nome della sua Messina, partecipando all'ultimo mondiale in Messico con la Nazionale di Calcio Amputati e gli Europei, ad ottobre in Polonia.
Marcello e il suo modo gioioso, terrestre, "terrone" di affrontare la vita.
"Se con 2 gambe il gioco del pallone è già duro, io mi sono trovato ad averne solo una per attaccarlo a muso duro questo sogno". Stare con persone come lui, che sanno e perciò comprendono, gente con cui confrontarsi, in fondo spinge in avanti.
"Lo sport mi ha aperto un mondo. Quando succedono cose così pensi a star male, agli sguardi degli altri, alla compassione o al giudizio". Credi sia addirittura giusto, dovuto. Almeno finchè lo sport stesso diventa "un modo per sfogare la tua rabbia. E sacrificio, volontà e impegno sono l'unico appoggio che resta, l'unico che serve".
Già, perchè Marcello viene da una famiglia con mamma e papà sordomuti e una sorellina affetta da sindrome di Down. Lui era l'unico "normodotato", viveva tra le cosiddette "disabilità", era il pilastro su cui fondare le fondamenta di casa.
"Nel 2011 perdo la gamba e cade il mondo. Volevo farla finita, non vedevo il resto, non guardavo le presenze oltre la mancanza". Era preda dell'assenza.
"Pensavo che loro, i miei, gli stessi che fin lì avevo sostenuto, ora avrebbero dovuto essere il mio sostegno".
È tornato a casa con una protesi pronta, senza la convinzione di metterla. "Prima il rifiuto. Poi, in un centro di Bologna, un ragazzino anche lui senza gamba che mi ha aperto un mondo nuovo". Un modo nuovo, di compensare un pezzo che manca con tutto l'intero che resta.
"È una vita rivoluzionata, tocca conoscerla giorno per giorno, impararla, superarla ostacolo dopo ostacolo, soluzione per soluzione". L'impegno, la convinzione, la volontà ti portano ovunque.
"Oggi corro sulle stampelle, carico le spalle, le tengo alte, sento il corpo attraverso la fatica".
Oggi Marcello si percepisce.
"Entro in campo, mi alleno, gioco, do non il cento... il mille".
Il gioco, la cosa più seria della sua vita. Un torneo che nasce come un salto nel vuoto, che nel buio vede luce. E un capitano. Francesco Messori è stato tanto bravo che attraverso i social ha fatto squadra.
Fuori dall'Italia già esiste il movimento. Quello di ragazzi che escono dal compatimento e guardano al compiacimento. Che invece di piangersi addosso ridono di gusto. Che si riappropriano di quel che hanno, godono della bellezza, della vita che c'è.
"Io ho perso la gamba e per 7 lunghi anni sono rimasto a casa per vergogna, pensavo fosse finito tutto. Poi un giorno mi accorgo di questa realtà, vedo un'opportunità. La prima volta che ne ho sentito parlare, di ragazzi che giocano a calcio con le stampelle, ho pensato... sono folli! Ad oggi sono io il più folle tra tutti. Ho visto la gente guardarci, strabiliata, per me questo è sport".
Il regolamento prevede che la palla si possa toccare solo con l'arto che c'è. Un coefficiente di difficoltà supplementare, per uno che come Marcello è nato destro e ha dovuto "adattare il sinistro che fin lì era stato giusto un appoggio. Oggi il piede funziona, il passaggio è preciso, il tiro forte".
E di rigori Marcello ne ha battuti tanti, tutti a segno, come quello contro L'Azerbaigian, come quelli con la vita.
Allora il messaggio qual è?
"Non mollare, andare avanti, scegliere la vita che si vuol vivere e viverla. Semplicemente".
Marcello sta coi bimbi, i bimbi che sono i più grandi. Talvolta si alza al mattino e si ributterebbe giù. Ma poi si guarda, si vede, si riconosce nella forza di tenersi su, "perchè i problemi sono altri. Azione e reazione, perché le cose lontane sono lì per essere raggiunte".
E l'obiettivo?
Creare una squadra nella sua città, dentro al suo Sud. Per partecipare al campionato italiano coi fratelli di terra. "Che sono tanti, più di quelli che si vedono, più di quanti si manifestino. Possiamo rialzarci anche da qui".
E sì, Marcello è proprio malato, di passione.
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