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Mario Venuti a tempo di samba: sabato il Restarts a Villa Dante. Nella sua Messina...

Ci ha lasciato "un sogno sulle strade calde, tra le case basse". In quella Punta del Faro dedicata a suo padre, nella parte di mondo dove "i due mari s’intrecciano e le visioni si accendono e incantano". E no, "non può essere mai come ieri". A Punta del Faro le correnti cambiano, ma se si deve partire poi si può "tornare. A respirarti, a riascoltare il canto"

Ci ha lasciato "un sogno sulle strade calde, tra le case basse". In quella Punta del Faro dedicata a suo padre, nella parte di mondo dove "i due mari s’intrecciano e le visioni si accendono e incantano". Perciò inaugurare il Restarts di Villa Dante, sabato (l’altra data siciliana sarà il 31 a Valderice), per Mario Venuti sa di ripartenza e d’origine insieme. Come la sua Messina. La scaletta? Il concerto sarà vetrina per il suo ultimo disco, un progetto che si completerà a settembre, di cui i due singoli già pubblicati (Ma che freddo fa e Xdono) sono un passaggio. Un album di canzoni italiane strapopolari, tropicalizzate, «con dentro la passione mia e di Tony Canto (è sua la produzione artistica) per la musica brasiliana». Così pezzi d’Italia diventano samba, bossa nova… Con spirito, codici, ritmi di un Brasile tanto sconfinato quanto regionale. Uscirà anche in vinile bianco autografato: quattro 45 giri, otto lati e un cofanetto.

La tua discografia è un viaggio tra intimità e Sudamerica...
«Prima era più un cross over, un ibrido con dentro pop. Invece in questo concerto, anche grazie alla composizione della band che mi accompagnerà (Neney Bispo Dos Santos, Manola Micalizzi e Vincenzo Virgillito) sarà un gioco che contaminerà il mio repertorio»

L’idea del 45 giri? Per lasciare qualcosa tra le mani?
«Un po’ perché all’epoca, gloriosa, della loro pubblicazione il loro supporto fu quello. Io da bambino vivevo di mangiadischi. Ci è sembrato bello pubblicare una tiratura limitata, impreziosita dal lavoro fotografico che ha fatto Monica Silva. Oggi la musica in streaming sembra non lasciarti niente…».

È impalpabile.
«Oltre che liquida, sembra gassosa».

Musica. Ma anche danza, pittura, scenografie, persino l’architettura dei tuoi cappelli (quelli del videoclip di Ma che freddo fa sono un omaggio a Carmen Miranda): è arte totale.
«C’è un gioco di rimandi ad un mondo affascinante, bello da sognare. Un eden tropicale in cui rifugiarsi, un margine di colore in una vita grigia».

Se il nostro bel canto è enfatico, la musica tropicale è linfatica, scorre…
«C’è la componente ritmica, sincopata, complessa, a tappeto. Un gusto armonico sofisticato, raffinato. L’intelaiatura dei pezzi originali che si arricchisce e tutto si apre».

L’altra componente è vocale: timbro e falsetti morbidissimi.
«I toni più confidenziali, suadenti. Gli italiani hanno il retaggio del melodramma, sembra che se non rompi i bicchieri non vale. Le tonalità brasiliane invece sono più abbordabili. E cantare in modo diverso rende le stesse antiretoriche».

Stavolta fai l’interprete. Com’è dall’altra parte della barricata?
«Sono un cantautore che ama la musica degli altri. Ma in questo disco più che l’omaggio c’è creatività. In Italia c’è una certa resistenza a sentire le cover, il pubblico si affeziona all’originale. Noi volevamo provocare, ribadire che la materia musicale è plasmabile. Ad esempio Xdono, la versione di Tiziano Ferro è molto urbana, mentre la nostra è una festa di campagna, tra fisarmoniche e galline».

C’è un paese che, tra i suoi tanti lutti, ha dovuto perdere anche Franco Battiato. Il tuo amico…
«Un artista come lui non lascia eredi, è stilisticamente inavvicinabile. Coi suoi riferimenti culturali… se noi guardiamo all’America, lui vedeva l’Oriente. Alla fine degli anni 80 ci incontravamo spesso, per il piacere di stare insieme. Era generoso di consigli, il suo spirito era collante. Manca».

E no, "non può essere mai come ieri". A Punta del Faro le correnti cambiano, ma se si deve partire poi si può "tornare. A respirarti, a riascoltare il canto".

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