Come un bambino che muove i primi passi e, nel percorso, è accompagnato mano per mano da chi, ormai oltre 30 anni, non ha mai smesso di credere che dalla tossicodipendenza si può uscire. Chi arriva alla Lelat di Messina, nel cuore del rione Mangialupi e a pochi passi dal carcere di Gazzi, lo sa: da qui parte un nuovo cammino. Che inizia con l’accoglienza, il primo passo di una scalata verso la libertà. La libertà però non è una meta facile, prima bisogna attraversare se stessi, bisogna quasi squarciarsi, arrivare fino a quelle profonde ferite che hanno portato alla droga. Si chiama primo livello e scava nell’io del tossicodipendente. In quel vizio che, in realtà, è un dolore. Che ti fa arrivare in comunità e presentarti dicendo: “Sono un tossicodipendente” senza fare neanche il tuo nome. “Sono storto, sono sbagliato”. Anche questa una frase che si sente spesso alla Lelat, ma ti insegnano che sbagli, non che sei sbagliato. Perche sbagliare è semplice. Eppure la Lelat è conosciuta in tutta Italia proprio per questo: nelle rete di comunità di cui fa parte è quella col minor numero di ricadute. Questo anche grazie a un percorso di reinserimento molto progressivo che punta a far culminare anche in un nuovo percorso lavorativo. Un’alternativa concreta alla droga che Anna Garufi, grande anima della Lelat, ha sempre provato a dare a tutti, lottando come una leonessa per portare avanti la struttura e aiutando i ragazzi non a fuggire dai propri mostri, ma ad affrontarli, per essere davvero uomini liberi.