Che qualcosa, in quel matrimonio, non andasse l’aveva sospettato anche il funzionario dell'ufficio consolare di Rabat, in Marocco, che aveva incontrato i futuri sposi: una cittadina marocchina e un messinese. Lui non parlava una parola di marocchino, lei una di italiano. Insomma non si capivano. E’ stato allora che l'ambasciata italiana prima, la polizia dopo hanno deciso di vederci chiaro. Quel che è venuto fuori da mesi di accertamenti, interrogatori e indagini è stata una organizzazione criminale, con ramificazioni in diversi Paesi, che organizzava finti matrimoni tra italiane e uomini extracomunitari, e viceversa, per far avere ai profughi il permesso di soggiorno per motivi familiari.
Una inchiesta condotta dalla Squadra Mobile di Messina e coordinata dalla Procura della Città dello Stretto che oggi ha portato all’arresto di 5 persone accusate, a diverso titolo, di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’ingresso in Italia di extracomunitari. L’organizzazione criminale poteva contare anche sulla complicità di due persone, ancora non identificate, che operavano in Francia. Nella banda, di cui facevano parte anche due italiane e che era capeggiata da un marocchino residente a Messina, ognuno aveva il suo compito. C'era chi individuava le finte spose, chi curava i dettagli delle nozze. E tutti i partecipanti al falso matrimonio avevano il loro guadagno.
Gli indagati si preoccupavano di far incontrare i futuri coniugi, di seguire tutta la trafila amministrativa propedeutica alla cerimonia presso i vari consolati, di reclutare i falsi testimoni e di trovare gli alloggi per simulare la coabitazione in vista dei controlli successivi. Nulla era lasciato al caso: venivano acquistate le fedi, modesti anelli del valore di 15-20 euro, anticipate le spese per l’acconciatura e l’abito, seguite, se necessario, le pratiche per il divorzio da matrimoni fittizi precedenti per riacquistare lo stato libero, date le istruzioni sul comportamento da tenere in occasione dei controlli di polizia che dovevano accertare l’effettiva convivenza della coppia. Nell’ipotesi in cui la richiesta di soggiorno fosse stata rigettata, la banda si premurava anche di seguire la procedura per il ricorso. In alcuni casi la pratica non andava avanti per l’inattendibilità delle riposte date dallo sposo durante l'istruttoria: emblematico il caso dell’uomo che non solo non ricordava la data del matrimonio, ma non aveva saputo raccontare neppure le abitudini di vita coniugale quotidiana. Il compenso per il finto coniuge variava tra i 2500 e i 3000 euro. Le spese complessive per chi era interessato a ottenere il permesso di soggiorno superavano, in alcuni casi, i 10mila euro.
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